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La forza di un gesto
Luigi Manconi
Se si dice “sovraffollamento” viene da pensare a una spiaggia di Ostia o di Riccione nelle prossime quarantotto ore: sdraio messe a castello per guadagnare spazio; crema protezione 50 che si trasferisce da pelle a pelle per contatto fisico, voluto o non voluto; ingresso in acqua con formazione a testuggine per penetrare la barriera dei corpi. Ma se questo scenario e l’incubo che evoca vengono proiettati nella dimensione blindata e claustrofobica di un carcere, il termine “sovraffollamento” risulta -come detto dal capo dello Stato Giorgio Napolitano nel convegno promosso dai Radicali il 28–29 luglio-  nulla più che “un eufemismo”. Perché in carcere l’incremento abnorme della popolazione detenuta rispetto a spazi tragicamente angusti significa tutt’altro: crollo di tutti gli standard, già assai deficitari, dei servizi forniti, crescita parossistica della promiscuità, acuirsi patologico della tensione e dell’aggressività. Più concretamente: una doccia, in quel torrido microclima reclusorio, la puoi fare una volta ogni tre, quattro settimane; una sola cucina deve preparare oltre duemila pasti; una visita specialistica può richiedere un tempo di attesa praticamente infinito e l’autorizzazione può arrivare a decesso avvenuto ( come ha raccontato a Radio radicale il cappellano di Poggio Reale, don Franco Esposito). Nella mappa dell’orrore carcerario, il primato (si fa per dire) dell’affollamento è tenuto saldamente in pugno dall’istituto di Lamezia Terme, dove il numero dei reclusi è quasi doppio rispetto ai posti regolamentari. A livello nazionale, la situazione è  altrettanto drammatica: circa 67mila detenuti per 45mila posti. Il sindaco di Lamezia Terme, Gianni Speranza (del quale nulla so, nemmeno lo schieramento di appartenenza) ha ritenuto di dover far sentire la propria voce, e giustamente. Il sindaco, infatti, è il primo responsabile di quanto avviene nel territorio da lui amministrato e la comunità dei reclusi è parte della più ampia comunità cittadina (si pensi che all’interno delle  carceri, nelle scadenze elettorali, dovrebbero essere disponibili le urne per il voto, e accade assai di rado). Di conseguenza, il primo cittadino, che pure non ha possibilità di accesso in carcere a causa di una normativa scandalosa, è chiamato a rispondere delle condizioni igienico - sanitarie degli istituti. E così, due giorni fa, Speranza si è rivolto al ministro della Giustizia Nitto Palma, auspicando “ un intervento per risolvere radicalmente il problema”. La formula utilizzata, quel “risolvere radicalmente”, sembra richiamare le parole pronunciate dal capo dello Stato nell’occasione prima ricordata. Giorgio Napolitano ha chiesto a governo e parlamento di considerare, oltre a “rimedi già prospettati”, anche “ogni altro possibile intervento,  non escludendo pregiudizialmente nessuna ipotesi che possa rendersi necessaria”. In queste parole molti hanno letto un invito a pendere in esame, con la necessaria prudenza e il dovuto equilibrio, un’ipotesi come quella dell’amnistia, per la quale si battono i radicali e per la quale proprio oggi circa1.600 persone (parlamentari e detenuti, sacerdoti e poliziotti penitenziari) attueranno uno sciopero della fame e della sete. Sia chiaro: l’amnistia è una misura assai delicata, ma –è davvero singolare che nessuno lo rammenti- prevista dalla nostra costituzione, e che potrebbe “rendersi necessaria” per intervenire efficacemente in una situazione palesemente di emergenza, quale quella attuale. Un provvedimento d’eccezione per una condizione d’eccezione, che avrebbe l’effetto, tra l’altro, di ridurre l’enorme carico di lavoro della magistratura. Fatta l’amnistia e ripristinato, così, un minimo di normalità, si potrebbe porre mano finalmente alle riforme di sistema. Non la pensa così il  ministro della Giustizia che ha escluso  una simile ipotesi perché “politicamente non percorribile”: e ha indicato come soluzione più opportuna quella della de-penalizzazione. Ovvero la riduzione del numero di atti e comportamenti, violazioni e infrazioni oggi classificati come fattispecie penali: cioè reati da sanzionare con la detenzione in cella. Parole sante, ma contraddette da due fatti pesanti come macigni. Il primo: l’attuale governo, lungi dal ridurre, ha ampliato il catalogo dei reati e delle pene ( introducendovi, ad esempio, clandestinità  e aggravante per clandestinità) .Il secondo fatto contraddittorio -come sottolinea Enrico Sbriglia, segretario del sindacato dei Direttori Penitenziari-  è che “da vent’anni”, a destra come a sinistra, quella viene indicata come la strada giusta: per un verso, la de-penalizzazione e, per l’altro,  la de- carcerizzazione ( la riduzione del numero dei reati che prevedano la detenzione). Ma nulla si è fatto in tal senso. È questo il motivo che rende una misura, in apparenza “politicamente non percorribile”, la sola forse dotata di ragionevolezza e di buon senso. La si discuta con serietà, almeno.
Il Messaggero 15 agosto 2011
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Numero dei detenuti presenti su 43084

61.481 detenuti
il 7/2/2014


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Voltaire

 


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