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Ferragosto al fresco
Sono stato coinvolto in questa iniziativa quasi per caso. Ho fatto volontariato anni fa nelle carceri e per un certo periodo ho anche diretto una cooperativa sociale che si occupava di minori con problemi penali. Ma non ero mai entrato in contatto con la realtà della condizione di vita dei reclusi. Quella che ho vissuto è stata un'esperienza che mi ha toccato profondamente. Ho pensato così di scrivere una testimonianza del pomeriggio trascorso insieme all'onorevole Duilio e al gruppo che ha visitato il carcere di San Vittore a Milano. Non faccio parte di coloro che si battono per i diritti civili. E nemmeno di quanti si impegnano ad aiutare le persone in difficoltà per una convinzione religiosa. Nella vita mi occupo di arte e spettacolo. Faccio il direttore artistico e scrivo testi per il teatro. Mi scuso quindi per le imprecisioni, le ingenuità e anche per il tono  narrativo un po' sarcastico. Spero che il mio piccolo contributo possa essere di una qualche utilità per sensibilizzare la comunità ad un gravissimo problema che pochi conoscono nella sua complessa realtà.



Il titolo sembra la pubblicità di un condizionatore. Invece quella che vorrei raccontare è la storia di un pomeriggio passato in un posto molto caldo. Un luogo paradossalmente indicato dalla tradizione popolare come “fresco”. Ma procediamo con ordine. Ricevo una telefonata dall' onorevole Duilio in piena estate. Mi invita a rientrare a Milano per accompagnarlo ad un sopralluogo nel carcere San Vittore durante il ponte di ferragosto. Cos'è, uno scherzo ? FERRAGOSTO ? Ho capito bene ?  Passare il ferragosto in carcere.. che idea. Non è bastato il concerto di Natale da don Mazzi ?  Certo deve trattarsi di una cosa  molto seria per schiodare un politico dalle ferie.  Forse si tratta di un'iniziativa del Ministro Brunetta per punire i parlamentari fannulloni ?  No. Si tratta di una proposta dei radicali, da sempre impegnati nelle battaglie per i diritti civili. L'obiettivo è sensibilizzare la politica alla situazione disastrosa in cui versano gli istituti di pena e i loro ospiti. L'onorevole ha pensato a me come accompagnatore visto il mio trascorso impegno di volontariato nelle carceri. Come faccio a rifiutare ? Dico addio al pomeriggio in barca e accetto l'invito. Appuntamento ore 16 a Piazza Filangeri.  Temperatura media: 30 gradi all'ombra. Arrivo un po' in anticipo e lo trovo già li' assieme ad una ragazza dai  capelli neri. E' l'architetto Barbara Cuniberti del gruppo  dei radicali. Fatte le debite presentazioni  ci accingiamo a varcare la soglia che separa l'uomo da uno dei suoi beni più preziosi: la libertà.  Il pesante cancello si apre di fronte al tesserino della Camera ed entriamo nell'ampio androne. All'interno si coglie subito un clima di operosità inusuale nella Milano d'agosto. Ovunque si muovono agenti di polizia penitenziaria nella loro divisa azzurrina. E' tutto un aprire e chiudere pesanti porte con gigantesche chiavi che penzolano dalle cinture dei pantaloni. Sembra di essere nel cavò di una banca. Siamo un terzetto piuttosto inusuale: Duilio nella tenuta da Montecitorio: giacca grigia, cravatta e l'inseparabile borsa (non ha portaborse quindi se la deve portare da solo).  L'architetto armata di metro, penna e taccuino. Io in maniche corte e l'unico paio di pantaloni lunghi rimediati all'ultimo minuto: sembro un turista entrato per sbaglio scambiando San Vittore per Sant'Ambrogio. Il piantone capisce al volo chi siamo e ci accoglie con guardinga deferenza Sbrighiamo in un attimo le formalità (consegna documenti e cellulari). Ci raggiunge la vicedirettrice. Oltre al turno di ferragosto le e' toccata pure la nostra visita.  Niente male come giornata. La prende con filosofia e mostra una cordiale disponibilità. Come benvenuto consegna il foglio presenze che e' già' tutto un programma: 1372 detenuti su una capienza regolamentare di 712. Quasi il doppio ! La matematica non è un' opinione. Intuisco come quei numeri siano il piatto forte della visita. Iniziamo dal femminile. 93 presenze in un'area di tre piani. Un lusso rispetto al maschile che nello stesso spazio ne accoglie più' del doppio. Apre il cancello un' efficientissima agente con occhiali, capello corto e piglio da istitutrice tedesca.  Avanti march ! Notare i pavimenti lucidi (anzi lucidissimi, più di quelli di casa mia), il giardino potato e ben curato, la cucina in perfetto ordine...  Ci raggiunge anche un'altra agente ( molto carina)  che  resterà con noi graditissima presenza per tutta la visita.  A pianoterra sono ospitate le detenute che devono scontare una pena abbastanza lunga.  Le celle sono personalizzate con gusto: tende colorate, tovaglie con ricami, poster di attori appesi alle pareti...  Mi ricordano le portinerie di una volta dove la portiera escogitava ogni stratagemma per rendere meno triste il bugigattolo messo a disposizione dal condominio.  Si sentono delle voci e odore di caffè. Da un drappo giallo e arancione sbuca una signora di mezza età coi capelli chiari. Ci saluta e chiede che ci facciamo li' a guardarla come dei baccalà'. Siamo presi alla sprovvista. Pensavamo di farle noi le domande. Ma è chiaro che ogni programma e' rimasto all'ingresso insieme ai cellulari. Tocca improvvisare. Chiedendo permesso entriamo nella cella che divide con un' altra detenuta.  Non fosse per le sbarre sembrerebbe la cameretta di un residence a una stella.  Sempre col sorriso la signora racconta la sua storia di vita. Non e' certo un romanzo rosa e si ferma al capitolo carcere. Per ora. Perché' anche se e' un capitolo abbastanza lungo prima o poi finirà. La reclusione per fortuna non le impedisce di lavorare e fare progetti per il futuro.  E' assunta dalla cooperativa che gestisce una sartoria all'interno dell' istituto.  Otto ore al giorno, uno stipendio a fine mese e soprattutto la speranza una volta fuori di trovare un lavoro nel settore. Chiediamo il permesso di visitare la sartoria. Ci accompagnano in fondo al corridoio in un ampio locale pieno di macchine da cucire, ferri da stiro e stoffe che spuntano da ogni parte. La cooperativa  prende le commissioni all' esterno e affida il lavoro ad un gruppo di detenute regolarmente assunte. Alcune sono intente a cucire a pieno ritmo segno che i clienti non mancano. L'occhio cade su due foto di costumi teatrali appese al muro. Lavorando nel settore la cosa mi incuriosisce. Non è il tocco della Squarciapino ma nel complesso non sono fatti male. Anzi... affidarsi alla cooperativa per i costumi del prossimo allestimento non sarebbe una cattiva idea. La sartoria  non e' l'unica attività' lavorativa. Scopriamo un' altra stanza dove cinque ragazze battono veloci le tastiere di altrettanti terminali. Inseriscono  dati informatici per conto delle ASL. Da come si impegnano sembrano pagate a cottimo. Sempre al piano terra scorgiamo una minuscola palestra dove una signora pedala in cyclette ed un' altra più giovane sbuffa tra un piegamento e l'altro. Saliamo le scale ed arriviamo ad un' altra sezione. La permanenza in genere varia da qualche giorno sino a mesi o al massimo un anno.  Chi ha prole in tenera eta' viene trasferita in una struttura più idonea. L'ambiente è meno personalizzato ma sempre pulito e curato. Le celle sono piene ma non stracolme. Le recluse preferiscono raggrupparsi in base alla lingua o al territorio di provenienza. Mentre l'onorevole le intervista per accertarsi delle condizioni di vita ci raggiunge un signore alto e magro accompagnato da una signora molto “charmante” che si fa aria con un grosso ventaglio e sembra uscita da un'opera di Puccini. Sono il garante per i diritti delle persone limitate nella libertà personale signor Bertazzini e il direttore dell'omonimo ufficio, la signora Ciardiello. Scopro cosi' l'esistenza di questa struttura gestita dalla Provincia di Milano il cui scopo e'  “promuovere  l'effettività dei diritti sanciti dalla Costituzione e dalle leggi vigenti nei riguardi dei detenuti”. Chiedo di raccontarmi un po' del loro lavoro e scopro trattarsi davvero di un bell'impegno.  I due devono combattere ogni giorno una serie di ingiustizie che non sembrano risolversi mai.  A vederlo questo dinamico duo ricorda  Batman e Batgirl.  Solo che qui i buoni sono i cattivi e i cattivi sono i buoni.  Infatti devono difendere i criminali (o presunti tali ) dalle ingiustizie della legge. Che storia !  Rischio di andare in corto circuito.  I due si impossessano di  Duilio (i colloqui  ormai andavano troppo per le lunghe) e lo trascinano nella biblioteca, un ampio locale che sta a fianco delle celle al primo piano. Il resto del gruppo si accoda. Facciamo conoscenza della responsabile, una signora di mezza età ( detenuta lavorante o impiegata statale ? Non si capisce a colpo d'occhio quindi mi tengo il dubbio per evitare gaffes). Alcune centinaia di libri sono riposti ordinatamente su scaffali di metallo insieme a DVD e videocassette. Un computer che potrebbe benissimo essere esposto al  Museo della Scienza e della Tecnica sezione preistoria dell'informatica è disponibile per i contenuti multimediali. La signora è gentile e svolge il suo lavoro con passione. Martella l'onorevole chiedendo la materia prima di ogni biblioteca: i libri ! Che scarseggiano o sono obsoleti (più del PC).  La fornitura è  lasciata al buon cuore dei volontari o alle donazione di case editrici.  Le quali inviano spesso i fondi di magazzino. Opere che fanno fatica a vendere. Quindi che si fa fatica a leggere. L'altro grave problema è quello della lingua. Servirebbero volumi in arabo, albanese, rumeno ecc... Dove li andiamo a prendere? La signora è disperata. Duilio la consola promettendo un interessamento. Lei ringrazia e ci saluta con quel sorriso un po' dubbioso di chi ha ascoltato tante promesse e visto ben pochi risultati. Lasciata la sezione femminile il “tour” prosegue al reparto psichiatrico su indicazione del garante che ormai ha assunto la funzione di guida come Virgilio con Dante (l'onorevole) nel viaggio infernale. Qui sono tenuti in osservazione i detenuti con problemi psichici in attesa di diagnosi. Vengono richiusi in celle con un massimo di due letti e guardati a vista 24 ore su 24. Quasi tutti sono in terapia farmacologica monitorata e somministrata da medici e infermieri che percorrono il corridoio avvolti nel classico camice bianco. Dalle celle sbucano mani e volti che mi ricordano il film “Il silenzio degli innocenti”. Qualcuno dorme. Altri leggono stesi sul letto. Molti ci osservano con uno sguardo assente.  Mi sento un po' a disagio. Duilio invece con estrema non calanche si avvicina alle sbarre e continua imperterrito nelle interviste. Il suo interessamento sembra essere ricambiato. Si vede che con i matti ci sa fare. La cosa non dovrebbe sorprendermi dato che è stato presidente della commissione bilancio nell'ultimo governo Prodi. Faccio due chiacchiere col piantone e col garante che intanto si concede una sigaretta. Mi spiegano che c'è molta sofferenza in questi soggetti e anche se hanno compiuto dei crimini sono da considerarsi dei malati. Se lo psichiatra pronuncerà una diagnosi di malattia mentale verranno trasferiti in apposite strutture. L'agente aggiunge  che c' e anche chi simula  per ottenere dei benefici. Ma i medici non si fanno fregare. Certo gestire un reparto cosi' non e' facile e richiede grande responsabilità. Arriva l'onorevole e racconta di aver riconosciuto un ex allievo del corso di politica sociale tenuto dalla Diocesi di Milano. Com'è' piccolo il mondo ! Evito ogni facile sarcasmo e tiro dritto insieme agli altri verso il reparto maschile. Il garante comincia ad anticipare tutta una serie di situazioni difficili: vedrete che manca questo, non funziona quest'altro.... Prende molto seriamente il suo ruolo. La signora lo spalleggia con altrettanta determinazione. Mi torna ancora il paragone con la Divina Commedia: “per me si va nella città' dolente, per me si va' tra la perduta gente...”. Passiamo un corridoio con una scalinata dominata da un grande orologio. Riconosco un ambiente familiare. “Qui ci sono già stato” dico alla vicedirettrice e le racconto la mia esperienza negli anni 90 come volontario al reparto penale. Ricordo che stavo in mezzo ad ex terroristi e a personaggi della criminalità organizzata.  Eppure il clima era di grande collaborazione e disponibilità' umana. Merito dell'allora direttore dottor Pagano che aveva operato una rivoluzione copernicana aprendo il carcere alla società civile per promuovere il reinserimento dei detenuti. Un personaggio che se fosse vissuto nel 700 sarebbe stato una figura di spicco dell'illuminismo napoletano. Tra una chicchera e l'altra sui tempi che furono arriviamo nel cuore dell'edificio: una  specie di piazza dove convergono le sei sezioni di tre piani che ospitano i reclusi.  Dalla rosa centrale in cui ci troviamo è possibile seguire alzando lo sguardo tutti i corridoi che si affacciano, piano per piano. Se stiamo in assoluto silenzio si sentono persino  i rumori che provengono dalle celle.  L'architetto si deve essere ispirato al “panopticon”, un modello di carcere caratterizzato da una sezione centrale da cui si potevano controllare tutti i reclusi senza essere visti (non ho studiato architettura ma ho letto il saggio di  Foucault “Sorvegliare e punire”). Però si coglie subito una differenza sostanziale: al centro della struttura non c'è nessun meccanismo di controllo. Al suo posto circondato da pitture di carattere religioso si erge un altare. E pensare che Benthlan, ideatore del panopticon, era un  convinto esponente della separazione Stato e Chiesa !  Mi trovo di fronte ad un paradosso ! Una struttura ideata perché molti fossero controllati da pochi viene adibita ad una funzione opposta: il sacerdote dice messa mentre i detenuti lo osservano attraverso le sbarre dai corridoi. Una delle porte si apre e viene incontro un agente col grado di capitano.  Ci spiega i criteri con cui gli ospiti vengono divisi nei vari raggi e nelle singole celle. L'obiettivo è trovare il giusto equilibrio tra esigenze di sicurezza e situazioni individuali. Il compito è estremamente delicato. Ogni errore potrebbe causare situazioni con esiti imprevedibili.  L'impressione é che il personale carcerario (tutti: dagli agenti alla direzione, dai medici agli educatori) abbia una competenza straordinaria maturata  dall'esperienza. Una sapiente alchimia di prudenza ed umanità che si rivela fondamentale per la conduzione di una struttura in condizioni e con situazioni spesso disperate. Entriamo nel terzo raggio che rappresenta il fiore all'occhiello perché ristrutturato di recente. Oltrepassata la cancellata troviamo sulla nostra sinistra l'ufficio del cappellano e diversi spazi adibiti ad attività educative.  Le pareti sono tinte di fresco con colori chiari e sul soffitto è stato affrescato un cielo azzurro con una colomba. Il pavimento è lindo ed alcuni detenuti sono impegnati nelle pulizie.  Più avanti sulla destra le prime celle. Tra le sbarre noto gruppi di asiatici o persone di colore. Altre invece sono miste come quella che visitiamo su invito del capitano. Gli occupanti ci accolgono con affabilità offrendoci da bere. Sono cinque in venticinque metri quadri: due letti a castello ai lati, uno al centro, un tavolino con 4 sedie e, separato da una parete senza porta, un budello con lavello e cesso alla turca (si lavano i piatti nello stesso spazio dove si espletano i bisogni fisiologici).  Sono quasi tutti italiani e svolgono un'attività' lavorativa all'interno del carcere. Si ritengono fortunati perché non restano chiusi in cella tutto il giorno. Interviene la vicedirettrice fornendo dati  precisi:  all'interno di San Vittore ci sono 319 detenuti uomini e 24 donne dipendenti dell'amministrazione penitenziaria. Sommati a quelli che lavorano per le cooperative sociali fanno un totale di 343 lavoratori. Un numero ragguardevole pari a quello di uno stabilimento di medie dimensioni. Le mansioni vanno dalle pulizie alla preparazione dei pasti, interventi di muratura, giardinaggio, carpenteria e manutenzione idraulica. Un' occupazione si rivela fondamentale per impiegare il tempo durante la reclusione e ovviamente per guadagnare qualche euro. La vita in un  carcere ha i sui costi: sigarette, shampoo, biscotti, francobolli ecc....  Salendo al piano superiore visitiamo una cella che ospita sei extracomunitari: quattro arabi e due africani. Anche loro sono tutti lavoranti. Chi fa le pulizie, chi aiuta in cucina, chi fa il muratore... Non avendo nessuno all'esterno in grado di mantenerli, il lavoro rappresenta l'unico mezzo di sostentamento. Certo stanno male pigiati in sei in una cella di venti metri quadri con l'acqua che arriva a singhiozzo. Ma ci stanno poco visto che per otto ore al giorno sono al lavoro. Un ragazzone di colore salta giù' del letto a castello. Ci racconta della sua famiglia e mostra la foto della figlia. Parla a stento l'italiano ed il capitano lo aiuta dandogli l'imbeccata quando non trova le parole. Mi colpisce il rapporto tra agente e detenuto. Non travalica mai il rispetto dei ruoli eppure e' carico di profonda umanità. Mentre l'architetto si trova nel suo terreno privilegiato prendendo misure e verificando insieme al garante la condizione dei sanitari, il resto del gruppo si sparpaglia per scambiare qualche parola con i reclusi. Gira subito voce che c'e' in visita un politico cosi' e' tutto un protendersi di mani e teste attraverso le sbarre che ci chiamano per raccontare le proprie disavventure e porci la medesima domanda: quando ci sarà' la prossima amnistia ? Tutti si lamentano per il sovraffollamento e in generale per le condizioni in cui sono costretti a vivere. Il paragone più ricorrente è con gli animali dello zoo.  E' strano ma percepisco un profondo senso di solitudine nonostante queste persone vivano praticamente pigiati uno accanto all'altro. Nessuno sa' con esattezza cosa sarà' della propria vita da li' a qualche giorno, mese o anno.  La vicedirettrice spiega che a  San Vittore la maggior parte dei reclusi non ha ancora terminato l'iter processuale. Quindi non ha chiara la durata della permanenza. Se ci sarà' una detenzione. Non pochi infatti vengono assolti o condannati a pene alternative. Siamo praticamente in un limbo dove non si e' ancora ne carne né pesce. Né colpevoli né innocenti. Ma si e' comunque tutti sulla graticola : 646 imputati in attesa di sentenza, 352 appellanti e 24 ricorrenti. Riscendiamo per avviarci verso il quinto e il sesto raggio.  L'onorevole resta colpito da una cella colma di quadri. E' quella di Arturo, detenuto con la passione per la pittura. Una vecchia conoscenza dell'istituto. Tra entrate (lunghe) e uscite (brevi) lo ospita praticamente da trent' anni.  E' un uomo sulla sessantina che sembra uscito da un film di Totò.  Mette la mano sulla spalla del capitano e gli ricorda quando ha preso servizio come semplice agente. Duilio ne e' affascinato e non perde l'occasione per un' ennesima chiacchierata. Proseguiamo verso il quinto e il sesto raggio dove troviamo una situazione sempre più' drammatica.  Passiamo in rassegna celle assai mal messe e con un numero di detenuti che arriva persino a nove in quelle un po' più' grandi. Nessuno ha un'opportunità' lavorativa. Quindi a parte le ore d'aria sono costretti giorno e notte a letto perché' il poco spazio a disposizione non consente nemmeno di sgranchirsi le gambe.  Altro che zoo ! Come ricorda Adriano Sofri in un articolo su Repubblica nemmeno i polli di allevamento vivono in simili condizioni. Se accadesse una cosa del genere in Italia gli animalisti insorgerebbero e i NAS farebbero chiudere lo stabilimento in meno di ventiquattr'ore.  A rendere la situazione ancora più tragica al terzo piano di ogni raggio causa scarsa potenza della pompa idrica l'acqua arriva solo quando non viene usata nei piani bassi.  Immaginatevi con che conseguenze in piena estate. Poi lo chiamano “stare al fresco” ! Senza acqua corrente non ci si può' nemmeno sciacquare la faccia per levare il sudore.  L'afa e' ancora più insopportabile. Non parliamo poi dei cessi con gli sciacquoni inutilizzabili.  Percorriamo corridoi dove veniamo accolti al grido di “acqua, acqua...”  Ma dove siamo ? A Kabul ? No. A Milano, città della moda, del design, sede della prossima EXPO. Credo che persino a Guantanamo l'acqua sia un diritto garantito. Veniamo condotti in una sezione speciale  dove sono ospitati  presunti violentatori e pedofili. Devono essere separati dagli altri detenuti per evitare aggressioni. Sono tutti molto silenziosi e abbassano gli occhi quando li incrocio con lo sguardo.  Non possono accedere ad un lavoro e nemmeno partecipare ad altre attività per motivi di sicurezza. Poco più avanti sentiamo un baccano infernale. Sono i transessuali, raggruppati in celle sperate. La maggior parte viados brasiliani. Si agitano come ossessi al nostro apparire. La vicedirettrice spiega che sono esibizionisti e spesso provocano il personale mettendo in mostra il loro corpo dalle fattezze muliebri. In effetti quando passiamo si lasciano andare in pose a luce rossa. Infine alcune celle sono riservate a detenuti che debbono essere curati a vista 24 ore su 24. Una sezione decisamente complessa ed il fatto che sia sovraffollata e manchi l'acqua durante il giorno non agevola certo la situazione. L'ultimo sopralluogo lo dedichiamo a quelle che forse sono le celle più fatiscenti dell'istituto. Muri scrostati, pavimenti sconnessi, un lavandino addirittura senza i tubi. Il garante ha il suo bel da fare a mostrare tutte le magagne all'architetto.  Le celle che visitiamo sono tutte occupate da extracomunitari.  A costoro e' toccata la condizione peggiore. Entriamo in uno stanzone che ospita nove persone in tre letti a castello da tre posti. Sembra di essere nella stiva di una nave carica di schiavi per le piantagioni di cotone. Se nel sonno uno casca dal letto più alto rischia di rompersi l'osso del collo.  Spiegandosi a fatica tutti lamentano l'inattività' forzata e la mancanza d'acqua nelle ore più' calde della giornata. L'onorevole deve destreggiarsi col francese per rispondere ad un tunisino che non parla italiano. Vuole sapere come fare per telefonare ai famigliari.  La vicedirettrice glielo spiega:  è tutta una lunga trafila che passa dal Tribunale.  Nell'istituto non c'è qualcuno che possa seguire i detenuti messi in evidente difficoltà dalla burocrazia ? Ancora una volta le cifre parlano da sole: 6 educatori effettivamente in servizio con 1370 detenuti.  Per un colloquio possono passare anche settimane. Per fortuna c'è' qualche volontario a dare man forte. Ma e' come svuotare l'oceano con un cucchiaino da caffè. Mi chiedo come si possa espletare la funzione rieducativa del carcere con un numero così ristretto di educatori. Un altro ospite chiede se può avere una scopa per tenere la cella pulita. Un  giovane gira a piedi nudi. Indossava solo un paio di calzoncini quando e' stato arrestato e aspetta con ansia il kit di accoglienza  per avere un paio di ciabatte. Non conosco il motivo per cui sono finiti in carcere. Forse sono dei delinquenti pericolosi. Pure mi assale un senso di sconforto nel vedere un essere umano in quelle condizioni. Guardo Duilio e capisco che anche lui sta pensando la stessa cosa.  Qual'è' il confine tra la sofferenza dovuta all'espiazione di una pena e le condizioni minime per garantire l'  umana dignità ?  Poi c'è' la questione dell'acqua. Di fatto oltre al disagio crea una disparità' di trattamento. Ci sono infatti celle e celle. Quelle ristrutturate a tre stelle, quelle non ristrutturare a due stelle e quelle ai piani alti con l'acqua che va e viene  ad una stella sola.  Più' sali e peggio stai.  Altro che piani alti ! Ennesima contraddizione. In alto ci stanno i trans, i pedofili, gli omosessuali e i più disgraziati. Gli altri invece, vuoi perché' lavorano, vuoi per fortuna o altri motivi si beccano le celle migliori. Nemmeno il carcere e' immune al sistema delle classi sociali. Brecht ne avrebbe tratto lo spunto per un lavoro teatrale. Mi guardo in giro e vedo solo gente disperata. Sono arrivato in cima ed ho toccato il fondo. Mi trovo in mezzo agli “ultimi tra gli ultimi”.  La cosa in quanto cristiano non mi lascia indifferente. Sono quasi le nove e siamo tutti sfiniti. Persino l'onorevole che sembrava indistruttibile. Il sopralluogo può ritenersi ormai concluso. Una puntatina allo spaccio per una bibita gentilmente offerta. Ci comunicano che  un giornalista di Repubblica vorrebbe fare un' intervista. Si concedono il garante e l'architetto mentre io e l'onorevole andiamo insieme agli agenti e alla vicedirettrice a fare il punto della situazione in sala riunioni. Alla fine della chiacchierata ci congediamo convinti di avere trascorso un pomeriggio che lascerà' qualcosa tra le nostre esperienze di vita.  Usciamo che sono quasi le dieci di sera. E' rimasto ad aspettarci solo un cameraman di radio radicale. Onore alla costanza. Duilio raccoglie le ultime energie per una dichiarazione. L'indomani leggeremo qualcosa sulla stampa, ma niente di che. L”attenzione dei media e' tutta  sugli scandali a luce rossa. Poi qualche protesta, una mezza rivolta. Ma tutto si risolve. L'estate passa e cosi' anche la questione carceri sembra ripiombare nell' oblio di sempre. Fino alla prossima estate. Vedremo allora se qualcosa sarà' cambiato. Nel frattempo faccio un esame di coscienza. Se non avessi visto quello che ho veduto non avrei mai compreso la gravita' della situazione. Come la maggior parte degli italiani provo una certa ostilità' nei confronti di chi delinque. Notizie di continui e spesso odiosi reati incutono un senso di insicurezza e sfiducia. Ho anch'io la sensazione che il controllo sul territorio sia inefficace e le pene poco severe. Non c'è' da stupirsi dunque se chi apprende delle cattive condizioni dei detenuti si augura spesso che possano stare anche peggio. L'emotività' e le paure uniti ai dubbi sull'efficacia delle condanne portano a considerare i disagi supplementari quasi come compensazione per la lievita' delle pene o deterrente per futuri crimini.  E' stato solo dopo una presa di coscienza diretta della situazione che ho messo in crisi questi preconcetti.  Quindi non posso che ringraziare coloro che hanno promosso l'iniziativa e consigliare loro di mostrare il più possibile questa terribile situazione. Credo infatti che per stimolare un cambiamento occorra un forte sostegno della società civile. Di conseguenza è importante che il carcere si metta in mostra per sollecitare una nuova presa di coscienza collettiva. Nell'immaginario popolare infatti l'istituto di pena e' sentito come un luogo di sofferenza e di internamento. Rieducare e reinserire sono termini poco percepiti se non addirittura osteggiati nella loro presunta inutilità o strumento per sfuggire ad un giusto castigo. Poco o nulla e' stato fatto negli ultimi trent'anni perché' passasse un'immagine degli istituti di pena nella loro realtà di strutture estremamente più sofisticate e professionali. Il lavoro sul detenuto non è riconosciuto. Il carcere dovrebbe quindi liberarsi dell'immagine  medioevale di luogo di castigo e internamento mostrandosi nella sua modernità. Per farlo bisogna trovare il giusto equilibrio tra il rispetto della privacy del carcerato e le necessita' di comunicazione. Non si tratta certo di mettere i condannati alla gogna come avveniva nel 600 o rispolverare la funzione di dissuasione alla devianza attraverso l'esposizione della sofferenza del condannato. Penso piuttosto ad una strategia di comunicazione multimediale: siti web, trasmissioni televisive, fiction, reportage, servizi fotografici...  se gli italiani non possono entrare negli istituti di pena allora portiamo le carceri nelle case degli italiani. Come esempio vorrei citare una produzione televisiva americana, la serie di telefilm OZ, diventata  oggetto di culto con un' altissima audience. Il serial per quanto romanzato ha effettivamente portato la realtà carceraria nelle case degli americani: detenuti, agenti, assistenti sociali, cappellani, avvocati, psicologi ecc.... Ha avuto il merito di trasmettere l'immagine di una struttura complessa e di riqualificare la professionalità di coloro che vi lavorano. Gestire un detenuto non significa soltanto girare la chiave di una porta e garantire un pasto.  Occorre una grande sensibilità e preparazione.  La corretta percezione della professionalità del personale è un altro elemento cardine per la rivalutazione della realtà carceraria. Nelle prigioni non ci stanno solo i detenuti. Al loro fianco lavora una categoria di persone eccezionali. Sono gli agenti di custodia ed il personale medico assistenziale oltre alla direzione ed ai volontari. Su costoro pesa un assoluto e colpevole silenzio mediatico. Dissolti in quella cortina fumogena che avvolge gli istituti di pena. Si parla con orgoglio di tanti servitori dello Stato: dalle Guardie di Finanza alle Frecce Tricolori, dai Paracadutisti al RIS e la DIA. Si girano fiction sui Carabinieri e sulla Polizia, dalla Squadra al Maresciallo Rocca.  Ma poco spazio mediatico e' dedicato agli agenti di polizia penitenziaria il cui lavoro invece offrirebbe spunti di interesse ed umanità' straordinari. In questa dimenticanza cadono spesso anche coloro che si battono per migliorare la vita dei detenuti Si concentrano esclusivamente sui disagi della popolazione carceraria e non prendono in considerazione quello che ne consegue per il personale.  Aumentando i reclusi aumentano anche i rischi' e le responsabilità' di chi lavora.  A San Vittore e' prevista una pianta organica di 990 agenti per una capienza massima tollerata di 1127 detenuti. Al momento del sopralluogo erano in servizio effettivo 692 agenti con 1372 reclusi. I disagi aumentano almeno di un terzo.  E' come se un chirurgo operasse con guanti bucati o un carpentiere indossasse un elmetto senza la visiera. 
In conclusione credo che la situazione sia tanto grave quanto complessa.  Plauso incondizionato quindi a coloro che promuovono iniziative o sono direttamente impegnati su questo fronte. Il sovraffollamento è comunque un sintomo e non la causa del malessere. Le radici sono profonde e una soluzione passa necessariamente per una presa di coscienza della società civile. Da parte mia darò un piccolo contributo impegnandomi a scrivere un testo per sensibilizzare il pubblico teatrale. Un lavoro ambientato in un carcere ovviamente. Ho già in mente la trama: un imprenditore viene arrestato per evasione fiscale (ipotesi molto fantasiosa viste le nuove leggi). Per passare il tempo convincerà' il direttore e i compagni di cella ad aprire un'attività' dietro le sbarre. Il tutto motivato dai più' nobili scopi.  Appena la cosa funziona e arrivano i soldi pero'... il resto non ve lo racconto se no mi rubano  l'idea.
Come sempre finisco col volare di fantasia. Non ci posso fare  niente D'altronde è il minimo che possa succedere quando si ha la bizzarra idea di invitare un autore teatrale alle ispezioni degli istituti di pena.

MARCO DAVERIO
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www.marcodaverio.com
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Numero dei detenuti presenti su 43084

61.481 detenuti
il 7/2/2014


Osservatorio sulla contenzione
a cura di Grazia Serra

  
   

   
    a cura di Francesco Gentiloni

" Il grado di civiltà di un Paese si misura osservando la condizione delle sue carceri"
Voltaire

 


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