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L’occhio del serpente

Leonardo De Pace Lòpez


Esiste un limite a tutto, pure alla cattiveria gratis, sono convinto che anche la peggiore delle carogne abbia un limite, imposto da una sorta di codice etico dentro l’immoralità delle proprie azioni, addirittura Satana ne ha uno: è Dio!
Ci sono alcuni serial killer che non sceglierebbero tra le loro vittime dei bambini. Altri che non farebbero del male alle donne, ci sono quelli che escludono dalla loro lista anziani e invalidi. Pedofili che scelgono le loro vittime in ambito famigliare, altri solo al di fuori di esso, come cercando di rispettare qualche norma etica. Esiste un codice d’onore tra i rapinatori della vecchia scuola, che consiste nel non derubare mai i clienti davanti allo sportello, o gli acquirenti in una gioielleria; i tossici non farebbero mai del male a chi gli procura la merce. Insomma, ognuno segue le proprie norme. Però - e questa congiunzione è sempre presente al momento di dividere - esiste una categoria che fa eccezione alla regola, semplicemente perché non ha regole, sono gli stramaledetti “cleaners”, gli assegnati alle “pulizie”. A chi entra in questo contesto viene consigliato di non avere affetti, di non avere una ragazza ufficiale, niente moglie, niente figli, ancora meglio se non ha parenti, perché ognuno di questi legami lo trasforma in una persona ricattabile dal punto di vista morale e lo distrae dagli obiettivi. Un po’ come facevano i cosacchi, quando, chiamati dallo zar per andare in guerra, uccidevano moglie e figli piccoli per non distrarsi dall’unico proposito, quello di combattere. Crudele sì, ma efficace!


West Palm Beach, 29 dicembre 2005

Quattro uomini rinchiusi da alcuni giorni in una casa, dentro un complesso residenziale, di medie dimensioni, attendono l’arrivo di un quinto che non conoscono personalmente, ma solo di fama. Tre sono fratelli, si riconoscono per la loro carnagione bianca e i capelli chiari, noti anche come i fratelli Ku Klux Klan per via delle iniziali dei loro nomi. Il quarto è un amico di vecchia data, iberoamericano, madre venezuelana e padre basco, di carnagione olivastra, ma lineamenti nettamente mediterranei. Stanno giocando a risico, uno dei tanti modi per uccidere ? si fa per dire ? il tempo. In salotto hanno spostato il tavolino di centro per ricavare più spazio, su di esso c’è soltanto un cellulare acceso, in attesa di una telefonata. Aspettano la conferma dell’arrivo di colui che è stato assegnato come capo di quella operazione, il quinto elemento. Ex-marine, sulla quarantina, congedato con onori nella prima guerra del golfo, di fede mussulmana, grande conoscitore della cultura medio-orientale e della lingua araba, incursore artificiere, esperto in demolizioni con esplosivi di alto calibro, meticoloso per esigenza del mestiere, senza pietà, fedele credente solo nel dio denaro. Come la maggior parte dei reduci di qualunque guerra, senza lavoro, con tanta rabbia dentro e un po’ schizzato. 
Dei tre fratelli Kevin è il maggiore, 35 anni, alto 1.95 m, più di 120 kg di peso, spalle larghe e braccia grosse, ex-giocatore di football americano e wrestling. Lo chiamano l’orso, sia per la mole e peluria, sia in ricordo del nome da lottatore che scelse da giovane quando si esibiva sul ring. Freddo e calcolatore nel lavoro, ma quando è assieme alla moglie e alla figlia sembra - è vero – un orso, però di peluche, tenero e ammaestrato. Barba, baffi e capelli pettinati all’indietro. Spesso e volentieri gioca qualche partitella di football americano per mantenersi allenato. 
Il secondo è Konstant, 30 anni, il più basso dei tre, attorno al metro e settanta, anch’egli di costituzione robusta, ma con un po’ di pancia dovuta al vizio della birra a doppio malto. Conosciuto come Mister Gun per la sua passione delle armi. Come ogni appassionato delle discipline di precisione, si allena spesso al poligono, intorno alle 4 ore al giorno. La moglie comunque è categorica, non vuole che porti le armi con sé, né tanto meno che le tenga in casa, per via dei due gemelli che sono ancora troppo piccoli. Quello che lei non sa, però, è che molte volte va ad allenarsi ai tornei accompagnato da loro due, che sono i suoi tifosi più accesi.  
Il più giovane dei tre fratelli è Karl, un ragazzo solare, scapolo incallito di 25 anni, 1.80m, costituzione atletica e molto sicuro di sé. Ha sempre la battuta pronta. Dopo ogni lavoro si fa qualche spinello di marijuana o hascisc, ma soltanto perché dice che l’aiuta a rilassarsi. A 10 anni aveva cominciato a frequentare una famiglia circense e gli era piaciuto subito il vecchio lanciatore di coltelli, con il suo grosso pancione e la barba bianca lunghissima a mo' di treccia, che gli aveva insegnato ad usare, in tutti i modi possibili, pugnali di ogni tipo e forma. Tutti i giorni dopo la scuola andava al circo, al principio rubava un po’ con gli occhi le esercitazioni che l’anziano faceva fare ai nipoti apprendisti, in seguito si era unito a loro in maniera informale e a 20 anni si era esibito con un numero tutto suo. Con il coltello era senz’altro il migliore in piazza, ci si poteva fare veramente affidamento.
Il quarto uomo, Logan, è il meno giovane di tutto il gruppo, ultraquarantenne, 1.75m, amante degli sport di contatto, veste quasi sempre tute ginniche perché gli offrono maggiore mobilità. Esperto e appassionato di fucili di precisione ad alto raggio. Da anni si è allontanato dalla sua donna e dal figlio, per via di quello che fa. Ha preso molto sul serio il consiglio del suo mentore di non avere legami affettivi che possano distrarlo dal lavoro e renderlo ricattabile dal punto di vista sentimentale. Comunque spesso e volentieri contempla a lungo l’unica foto che conserva della sua famiglia, soprattutto prima e dopo ogni missione, per non dimenticare coloro che sono l’unica cosa positiva della sua vita.
Tutti e cinque sono stati ingaggiati dal grande capo, ancora una volta, per comportarsi da diavoli, e svolgere così un compito “divino”, ripulire il mondo da una scoria umana.
Quel lavoro, come tutti i precedenti, è pieno d’attesa. Bisogna saper aspettare il momento giusto, mai precipitarsi, perché chi esce troppo in fretta allo scoperto da cacciatore si trasforma in preda.    
Sono le 10:00 del mattino, sono in piedi da quasi quattro ore. Il portacenere è pieno di mozziconi di sigarette, per terra ci sono merendine, bicchieri di caffè, una bottiglia di latte e svariate lattine di Guinness (birra nera irlandese). Squilla il cellulare che è sul tavolino del salotto. Il gioco s’interrompe. Tutti e quattro si guardano. Il numero di quel telefono ce l’ha soltanto il grande capo, quindi è la telefonata che stanno aspettando.
Karl, come sempre, sta giocherellando con un pugnale passandoselo tra le dita. «Comincia la festa ragazzi!», esclama con un sorriso nervoso.  
Kevin risponde alla telefonata, si identifica con la solita sigla: K3. Dall’altra parte qualcuno dice: «Il mamba striscia su una Lincon nera». È tutto ciò che viene detto, quindi chiude il telefonino e lo passa a Logan perché lo distrugga, ormai non serve più. Logan lo prende, lo stringe forte come volendolo stritolare con la mano e rivolgendosi a tutti si alza in piedi e dà per aperta la stagione di caccia.
Tutti si alzano. Gli sguardi sono rivolti verso Konstant. Lui intuisce che è stato scelto per raccogliere tutto il disordine in salotto, d’altronde la maggior parte dell’immondizia è sua: lattine di birra, sacchetti di snack e altro... Sa benissimo di dover lasciare tutto in un ordine impeccabile, come sempre, nessuno dovrà mai, nemmeno minimamente, sospettare che loro hanno sostato lì. Anche gli altri lo sanno benissimo, quindi si dividono la pulizia del resto dell’appartamento. Cominciano infilandosi dei guanti di lattice, cuffie per i capelli e copriscarpe di cellofan, come quelli che usano negli ospedali, per evitare le impronte. Prima di buttare tutto dentro dei sacchi neri, che in un secondo tempo saranno portati all’inceneritore di un loro vecchio collaboratore della zona, ognuno prepara il proprio zaino in silenzio, concentrato in quello che fa perché non sono concessi errori. Qualche indumento e la tuta nera da subacqueo, da utilizzare la notte X per evitare riflessi e contenere la perdita di peli e capelli. C’è ancora qualcos’altro da fare prima di chiudere i sacchi dell’immondizia, bisogna verificare l’armamento, quello che hanno messo a punto e ripulito in quei giorni, inserire le pallottole nei caricatori delle pistole e mitragliatrici e controllare i silenziatori, dopo di che si è pronti per chiudere le borse. 
Intanto si avvicina al residence una Lincon Continental nera. È una macchina molto spaziosa e confortevole, ideale per viaggi lunghi, sedili ergonomici in pelle, vetri fumé e tante altre comodità. Al volante un uomo di colore, intorno ai 40 anni, costituzione robusta, alto 1.85m, occhiali scuri e capelli rasati a zero. Fuma un sigaro cubano, Montecristo/Lancero. Vestito in modo elegante. Completo nero, camicia bianca senza cravatta e scarpe nere a punta. Ricorda un po’ il mitico Malcolm X. Mentre è alla guida si intrattiene con la sua medaglia da ex-soldato pluridecorato che gli pende dal collo e con la musica giusta in sottofondo, quella di Apocalyps Now, ripensa ai lavori da incursore nel deserto del Kuwait, nonché al momento della sua decorazione con la croce d’argento, consegnatagli niente di meno che dallo stesso Generale Norman Schwarzkopf.  
Alcuni minuti più tardi, da una delle finestre del secondo piano dove sta facendo pulizia, Karl intravvede una Lincon Continental nera che sta parcheggiando davanti alla loro villetta. Lo fa subito presente agli altri. Konstant, l’addetto alle armi, come per istinto monta immediatamente tre mitragliatrici. Kevin salta subito al piano di sotto e da dietro una delle tende del salotto guarda meglio. Rassicura il gruppo con un gesto della mano. È l’uomo che stanno aspettando. La macchina corrisponde alla descrizione che gli è stata data. Logan allora prosegue con la chiusura dei sacchi. Non c’è tempo da perdere. Si muovono tutti in sincronia e in pochi istanti tre di loro sono sulla soglia della porta d’ingresso, Kevin invece è ancora dentro, dà un’ultima occhiata in giro.  
Automaticamente il portabagagli  della Lincon si apre. A quel punto sono tutti fuori dalla villetta, Logan e gli altri portano con sé lo zaino e un sacco dell’immondizia, li buttano dentro il grande bagagliaio ed entrano in macchina. Logan, che è l'ultimo ad entrare, nota in fondo al bagagliaio una grossa valigia nera, quasi nascosta, e si sofferma un attimo pensieroso ...
Nessuno saluta. Gli sguardi s’incrociano, poi convergono tutti sul conducente. Karl, con il suo solito sorriso sulle labbra, dice: «Ti hanno mai detto che assomigli a Malcolm X?». Il soggetto non risponde, si limita a guardare tutti cercando con chi interloquire. Non dice il suo nome, ma  conosce i loro. Di lui sanno soltanto quello che si dice in giro. Ex militare pluridecorato, bla, bla, bla … Comincia a spiegare quello che devono fare, chi è il loro obiettivo, quando colpire, le ore che devono guidare e verso quale direzione. Non dice il luogo esatto dove vanno, forse per un’abitudine imparata nell’esercito di far sapere il minimo indispensabile. L’unica cosa chiara è che si tratta di una delle tanti scorie umane che continuano a credere di farla franca dopo aver fatto un torto all’organizzazione. C’è un po’ di tensione nell’ambiente, ma è normale che sia così, è la prima volta che lavorano assieme. Quando gli viene chiesto della valigia nera in fondo al bagagliaio, spiega che è dell’esplosivo plastico che verrà usato soltanto se strettamente necessario. Ribadisce che è stato designato come capo della operazione, perciò sta a lui decidere cosa fare, quando farlo e come farlo. Quelle parole mettono il resto del gruppo in apprensione, sopratutto per quello che non viene detto: come verrà usato il materiale esplosivo. Loro sono abituati a fare lavori molto silenziosi e discreti e non gli piacerebbe se quello non lo fosse altrettanto.
Dopo quella battuta Malcolm mette in moto la macchina e si avvia lentamente, com'è consuetudine all’interno di un residence. Per l’ultima volta danno un’occhiata a quel bel posto che li ha accolti in silenzio senza far trasparire la loro identità. Gli alberi sempreverdi li accompagnano sino all’uscita e la piscina, che tante volte ha ascoltato le loro conversazioni criminose, sembra salutarli con un messaggio di addio, nello stile del linguaggio indiano, col vapore che sale dall’acqua calda. 
Ogni quattro ore sostano, come concordato, si sgranchiscono le gambe, mangiano qualcosa, si riforniscono di benzina, l’autista di turno fa il pieno di caffè, e si riparte.


20 ore dopo. Entrano nel North Carolina, è il 30 Dicembre 2005

Escono dall’autostrada e imboccano la statale. Sono diretti a un centro rurale, poco popolato durante la maggior parte dell’anno, ma molto affollato nelle festività natalizie e in particolare di capodanno, quindi è perfetto per la loro copertura. Sono 5 turisti in più della grande folla. Nevica e fa molto freddo, questo permette di coprire ulteriormente lineamenti, imperfezioni, tatuaggi e cose del genere che potrebbero distinguerli da altri visitatori. Decidono di alloggiare in motel diversi. Prima di cominciare a cercarli decidono di ritrovarsi quella sera in una tavola calda che avevano visto appena entrati in città. Kevin è il primo a sistemarsi in un motel, lo segue Karl, il più giovane dei tre fratelli, il terzo a farlo è Konstant. Logan, che non si fida di Malcolm ed è irritato per tutto quel mistero sugli esplosivi, decide di scendere dalla macchina e trovarsi il motel per conto suo. Non vuole che questo tizio sappia dove dormirà. 
Dopo aver camminato parecchio, Logan si guarda intorno per essere sicuro che Malcolm non l’abbia seguito. Entra in un ristorante e mangia qualcosa. Durante tutto il periodo che è stato dentro, quasi 45 minuti, non ha smesso di guardare fuori dalle finestre. Il locale fa angolo, quindi è facile tener d’occhio diverse strade e rendersi conto se qualcuno lo sta osservando. Quando è sicuro che tutto è a posto, esce e s’infila nel motel di fronte. Con documenti falsi che ognuno di loro ha, affitta una stanza per due notti. Entra in camera, getta lo zaino sul letto e si sdraia. Sono le 15:00, fuori è buio, ma è la stagione che è così. 


È proprio vero che l’unico modo di avere un amico è quello di esserlo. La vera amicizia rende coloro che vi si dedicano più che consanguinei. Per quanto concerne fiducia, affetto, rispetto e lealtà, l’amicizia comporta più responsabilità della semplice conoscenza. È empatia, riservatezza, onestà. Chi cerca un’amicizia senza impegni, in effetti, desidera solo trovare un conoscente, non un amico. Gli amici intimi sono lieti di assumere le responsabilità che derivano da un forte attaccamento personale, perché capiscono che queste permettono di dimostrare la propria amicizia. Tutti sanno che una vera amicizia non può sbocciare e maturare da un giorno all’altro, ma deve essere messa alla prova, valutata in diverse e svariate circostanze per essere definita tale. Man mano che si rinsalda, gli amici si confidano l’uno con l’altro, diventando anche complici.


Dopo aver fissato il soffitto per qualche minuto, si alza, sposta lentamente la tenda alla finestra e guarda fuori. Non c’è un’anima. Pensa un momento e poi decide di farlo. Andrà a parlare con Kevin, a quattr'occhi. Esce, ferma un taxi e chiede di fare un giro in centro. Nelle piccole città i tassisti conoscono tutti, quindi Logan, con l'aria allegra del turista, comincia una conversazione  disinvolta e distesa, senza smettere però di guardare dietro con discrezione per vedere se lo stanno seguendo. Dopo un bel po’, sicuro di non essere pedinato, decide di dargli l’indirizzo del motel dov’è Kevin. Gli chiede di attendere un momento e dopo alcuni minuti torna accompagnato dal suo amico. Gli dice di portarli in un centro commerciale perché devono fare delle compere e di ritornare a prenderli un'ora dopo.        
Appena soli, Logan spiega a Kevin il vero scopo di quell’incontro. A lui quel tizio, quel negro bastardo, non piace affatto. Era così contento quando lavoravano soltanto loro quattro, non ci voleva proprio la presenza di quello lì. Non gli era mai successo di sentirsi in quel modo. Avvertiva disagio per tutto, sentiva che non c’era trasparenza, che quel tale stava nascondendo qualcosa, qualcosa che aveva a che fare con l’esplosivo. Per la prima volta, dopo 10 anni, cominciava a nutrire dei dubbi, dei seri dubbi su chi gli aveva affidato la missione. Sospettava che colui che sino a quel momento aveva quasi idolatrato, che aveva idealizzato come la persona perfetta, il grande capo, lo zio, come soltanto lui poteva chiamare, stesse dietro a quel brutto presentimento. In passato non gli era mai successo di mettere in discussione l’operato del big boss e di tutta l’organizzazione.
Kevin aveva molto rispetto per Logan, primo di tutto per l’amicizia che li legava da tanti anni, secondo perché la sua esperienza, in passato, aveva salvato la pelle a tutti loro, quindi gli confermò la disponibilità a marciare al suo fianco e appoggiarlo in qualsiasi decisione, qualunque essa fosse. Questa operazione era particolare poiché era la prima volta che il grande capo assegnava poteri decisionali a una persona a loro completamente sconosciuta, con una personalità totalmente chiusa e poco chiara nei discorsi; ma, se decidevano di ritirarsi, dovevano valutare bene alcuni aspetti, innanzitutto sarebbe stata la prima volta che avrebbero abbandonato un lavoro, cosa che non volevano nemmeno considerare, vista la loro traiettoria impeccabile e senza macchie, ma qualcosa andava fatto, quindi decisero di tenerlo d’occhio e vedere come si comportava nelle ore successive, senza essere troppo precipitosi nella loro decisione. Quindi gli diedero un’altra opportunità.  
È ora di uscire, il taxi li sta aspettando nel posto concordato. Si fanno accompagnare ai rispettivi motel e si salutano ricordando che poco più di un’ora dopo si rivedranno nel ristorante per cenare assieme agli altri.
L’orologio del ristorante marca le 20:00. Mentre decidono cosa mangiare ascoltano il piano di Malcolm: quella sera devono visitare i luoghi che sono stati indicati dal gruppo d’intelligence. Decidono di farlo in gruppi. Logan preferisce lavorare da solo, in quel modo riescono a coprire tutti i posti quella stessa notte. Si dividono in tre: il primo gruppo composto da Malcolm e Karl, il secondo da Kevin e Konstant, il terzo da Logan. Malcolm raccomanda a tutti di non prendere iniziative sciocche che allerterebbero l’obiettivo. Se qualunque dei gruppi l’incontra deve soltanto osservare i suoi movimenti e prendere nota. Il lavoro va fatto insieme. Un’ora dopo escono dalla tavola calda e si mettono alla ricerca.
Visitano i locali e i luoghi della lista, ma senza esito. Alle 6:00 del mattino si ritrovano nella stessa tavola calda. Facce stanche, qualche segno di frustrazione fa intuire che il lavoro svolto dal gruppo d’intelligence lascia a desiderare. Fanno il punto della situazione, capiscono che quel tizio è più scaltro di quanto credevano in principio. Capiscono che la sua strategia è chiara, se qualcuno lo cerca, lo farà quando ci sarà molta gente, proprio come in quell’epoca dell’anno, rendendoli più difficile identificare presunti killer, soprattutto quelli esterni, quindi non farsi vedere in giro in quel periodo è la cosa più sensata. Allora, se Maometto non va alla montagna, la montagna ..... Tutti sono d’accordo che il lavoro va fatto a casa sua perché se non l’hanno trovato da nessuna parte, vuole dire che le feste le trascorrerà a casa. Quella stessa notte bisogna fare un sopralluogo alla residenza.
Decidono di riposare tutta la mattina e ritrovarsi alle 22:00 dentro un cinema che hanno individuato a 5 isolati dalla tavola calda. All’uscita dal cinema pioveva: perfetto per un sopralluogo. Si mobilitano verso la casa del tizio che dista parecchie miglia dal centro, su una collina, dalla cui cima si può vedere chiunque arrivi dalla strada. Lasciano la macchina nascosta in una boscaglia vicino, tirano fuori gli zaini, s’infilano la tuta subacquea e salgono la collina a piedi. Arrivati al muro di cinta, lo scavalcano con facilità, si rendono conto che sei doberman vigilano la villa, mentre il resto del gruppo tiene a bada i cani, con tecniche militari, Logan si dirige verso la casa. Sono le 2:00 del mattino, sul tetto e alcuni alberi ci sono delle telecamere che di notte si attivano se qualcuno si avvicina, ma forse la combinazione tuoni e pioggia le ha messe fuori uso. Un grosso albero di Natale illumina l’immenso salotto a pian terreno e vicino al caminetto è pieno di giocattoli nuovi. Non deve entrare in casa, soltanto individuare il soggetto. Lo intravvede attraverso la finestra della camera da letto, al piano di sopra: dorme accanto a una donna, presumibilmente la moglie. Ha un attimo di esitazione, pensa di entrare  e finire il lavoro, quella notte è semplicemente ideale, però alla fine decide di rispettare gli ordini, anche se appena trovatosi con gli altri l’avrebbe proposto. Mentre se ne va dà un’occhiata nella camera accanto, la decorazione principesca è appropriata per bambine, bambole e peluche di ogni tipo da per tutto, ma vedere quelle due creature dormire così dolcemente, sotto quella pioggia torrenziale gli suscita qualche perplessità. È strano vederle così tranquille nei loro letti, di solito i bambini, soprattutto le femminucce, scappano nel lettone dei genitori spaventati dai tuoni e lampi, ma loro sono lì, sembrano morte, allora dà un’occhiata più da vicino alle finestre e nota che i vetri sono blindati, lo spessore è di 5 cm, praticamente la stanza è insonorizzata. Per fortuna si accorge di quel dettaglio, per niente trascurabile. Scende in fretta, clicca due volte con la torcia laser e i suoi compagni capiscono che è ora di uscire da lì. Rapidamente corrono giù per la collina fino alla macchina senza proferire parola, forse più per il freddo e la pioggia che per altro. Logan fa il suo rapporto appena entrati in macchina. 
Spiega per filo e per segno quello che ha visto. Secondo lui si può fare subito, anche perché aiutati dalla pioggia torrenziale e dai tuoni. Si sarebbe fatto un lavoro molto pulito e soprattutto silenzioso, riferisce quanto ha scoperto sui vetri blindati delle finestre, quindi è deducibile che lo siano tutti quelli della casa, lo spessore è il massimo consentito per le abitazioni. Il resto del gruppo rimane di stucco, quel tizio ha veramente pensato a tutto, forse ha persino un panic room (stanza blindata a chiusura stagno apribile solo dall’interno). Logan consulta subito Konstant, l’incaricato delle armi e munizioni, lui tranquillizza tutti, ha portato ogni tipo di proiettile: blindati normali, con punte di teflon e d'acciaio, una dozzina di scatole con blindati all’uranio impoverito, i proiettili più potenti in grado di attraversare qualunque blindatura. Non c’è di che preoccuparsi. A quel punto Malcolm fa capire l’importanza di quel sopralluogo che ha permesso a Logan di scoprire un particolare così importante, che nemmeno il gruppo d’intelligence era riuscito a individuare e che, invece, avrebbe potuto compromettere l’esito dell’operazione. Tutto ciò gioca a favore della decisione di Malcolm di non portare a termine il lavoro quella notte. Gli altri 4 non sono d’accordo: la festa di Capodanno sicuramente comporterà non pochi problemi, visto che molto probabilmente la casa sarà piena d’invitati. Però non hanno con sé le attrezzature appropriate per garantire un esito del 100% e l’alba si avvicina; e poi è lui al comando dell’operazione e i ruoli si rispettano a prescindere dalle proprie idee. Quindi decidono a malincuore di accettare e rimandare tutto all’indomani.
Tornano ai rispettivi covi, Logan è visibilmente arrabbiato e dà sfogo a tutta la sua ira mandando in frantumi lo specchio del bagno con un pugno, non concepisce che ci siano dei segreti quando in gioco è la loro vita. Sente che qualcosa non va. È convinto che quel tipo non dice tutta la verità sull’operazione, nasconde qualcosa. Ma cosa? Pieno di dubbi e contrariato si addormenta vestito verso le 7:00. Dorme sino alle 19:00, poi esce a mangiare qualcosa e torna al motel a prepararsi per la serata, la tanto aspettata notte X, che si prospetta lunga e impegnativa.
Malcolm ha riservato un tavolo all’hotel Marriott per festeggiare Capodanno tutti insieme, quindi si ritrovano verso le 22:00 al bar dell’hotel elegantemente vestiti.  Dopo un drink alla barra decidono di salire all’ultimo piano, al salone verde, da dove si può vedere la metà della città.
Davanti agli ascensori è pieno di gente, tutti vogliono salire perché si è sparsa la voce che il gruppo musicale ha già sfornato le prime canzoni. Malcolm, Kevin e Karl si infilano nel primo ascensore, Konstant e Logan nel secondo. La loro prenotazione è al tavolo 15, quello vicino alla finestra. Sul tavolo vodka, whisky, rum, stuzzichini, insomma di tutto. Sono al 23° piano, hanno un eccellente panorama. C’è un bell'ambiente, coinvolgente, questo li aiuta a rilassarsi, però non si lasciano trascinare dalle emozioni, quindi rifiutano le avances di un gruppo di belle ragazze, anch’esse sole, in cerca della prima avventura dell’anno. Si controllano a vicenda per quanto riguarda il bere, soprattutto sorvegliano Konstant, è lui quello più a rischio. Ed ecco che cominciano a cadere i primi fiocchi di neve, Logan fissa quello spettacolo per qualche istante, dopo di ché si avvicina a Kevin, gli sussurra qualcosa all’orecchio, Kevin annuisce con il pollice, Logan gli dà un colpetto sulla spalla e tornano a festeggiare.
Dopo i soliti auguri di mezzanotte decidono che è ora di far festa da un’altra parte. Fuori dall’hotel si trovano davanti un vasto manto di neve bianca, che continua a cadere copiosamente, gli sguardi di Logan e Kevin si incrociano, si sono già capiti. Dopo aver ricevuto la macchina dal parcheggiatore, Logan prende le chiavi, si siede al volante e dice che bisogna risolvere il problema delle tute nere che purtroppo devono usare per forza perché la temperatura è troppo bassa, ma il colore le rende visibili, quindi devono andare nel motel più vicino, dove dorme Kevin, a prendere delle lenzuola da usare come mantelli per coprire le mute nere e così mimetizzarsi con la neve. Prima di partire sincronizzano gli orologi, è l’1:00 in punto.


North Carolina, 1° gennaio 2006

I cinque sono sul muro di cinta, sdraiati. Dentro la casa c’è una grande festa, come è logico supporre. Lo vedono chiaramente dai binocoli mentre perlustrano la casa attraverso ogni finestra, in cerca del soggetto. Cercano anche possibili guardie intorno alla casa, oltre ai sei doberman, che per la fitta neve e il freddo se ne stanno calmi, calmi vicino alle porte o sotto le macchine al caldo del motore. Tutto a un tratto Karl fa un fischiettio soave per richiamare l’attenzione su di lui, ha individuato l’obiettivo: si sta sbaciucchiando con una ragazza molto più giovane di lui, in cucina. A quel punto Logan posa il binocolo, prende il fucile di precisione, inserisce il silenziatore, dà una sistemata alla mira telescopica e comincia a sparare, sia alle telecamere, quelle che la sera precedente aveva individuato sul tetto e sugli alberi, sia ai riflettori che puntano sul giardino; Konstant invece, aiutato dai fratelli, prepara l’arsenale riempiendo i caricatori dei fucili e delle pistole, i primi con pallottole all’uranio impoverito, per oltrepassare la blindatura di finestre, porte e pareti, le seconde con pallottole con punta di teflon. Malcolm invece apre la famosa valigia nera, una sorta di vaso di Pandora per tutto quello che ne uscirà. 
«Cosa stai facendo?», domanda Logan senza distogliere l’occhio dal mirino.
«Sto cercando il distorsore di linea», risponde Malcolm.
Quindi tira fuori una scatola nera con due bottoni e accende quello rosso. Quel dispositivo serve a bloccare le linee dei telefoni mobili; lo getta nel giardino, lo vedono affondare nella neve e scomparire. Poi si trascina verso un palo della luce, accanto a un albero, e taglia la linea fissa del telefono. A quel punto sono completamente isolati.
Adesso Malcolm è pronto per assegnare compiti specifici a ognuno di loro: i tre fratelli devono pensare ai cani e a chiunque si trovi fuori dalla casa; Logan deve continuare quello che stava facendo. Lui si occuperà d’altro. 
«Cos'è che deve fare lui?», si chiede Logan mentre continua a sparare verso le telecamere e ai riflettori. A un tratto le luci dentro la casa si spengono. In certi momenti si riescono a sentire urla lontane di donne e bambini che trafiggono la blindatura dei vetri.
«È tutto così surreale», pensa Logan. Non si è mai trovato in una condizione del genere, a sentire in sottofondo l’urlo agghiacciante di un bambino innocente..., gli lacera il cuore.
I tre fratelli sono impegnati nel loro compito, Logan ha svolto il suo, però l'ordine di abbattere l'obiettivo non arriva, di quello neanche una parola. A quel punto Logan prende l’iniziativa, inserisce la visione notturna nella mira telescopica, cerca il bersaglio e dopo averlo trovato dice: «Ce l’ho nel mirino, sto puntandogli giusto in fronte. Sparo!».
«No! Se lo fai ti sparo alla nuca». 
Logan alza il capo piano piano e vede Malcolm che gli punta la pistola dietro la testa.
«Ho detto che si fa a modo mio. Chiaro?», sibila Malcolm a denti stretti.
«Ok! Ok! Sei tu che comandi. Lo dicevo perché l’avrei fatto secco con un colpo solo e …».
Appena intuisce che non ha più la pistola alla nuca e si sente libero di agire, Logan lo colpisce con il calcio del fucile e lo getta giù dal muro, salta su di lui e puntandogli il fucile in faccia gli dice: «Se non fosse che siamo nel mezzo di un'operazione ti staccherei la testa con un colpo. Ricordati però che non finisce qui, te lo prometto». Dopo di che sposta la canna del fucile solo di alcuni centimetri e spara un colpo a terra sfiorandogli l’orecchio. 
Dopo alcuni minuti i fratelli tornano, ma non si accorgono della tensione tra i due.
Dicono che gli è parso di sentire delle urla in lontananza provenienti dalla casa, quindi suppongono che l’obiettivo sia stato raggiunto e che il loro lavoro sia finito, ma Logan spiega ai tre che non è andata così, le urla sono degli ospiti spaventati dentro la casa, di donne e bambini in preda al panico. Konstant e i fratelli incitano Logan a raggiungere col suo fucile il soggetto e mettere fine a quel supplizio, però Malcolm blocca tutti: da quel momento non si spara più, è giunta l’ora di ascoltare un’altra musica, vera musica, una che sicuramente non hanno mai ascoltato.
Nel frattempo, all’interno della casa, al buio, le donne gridano e corrono all’impazzata cercando di scendere nello scantinato assieme ai bambini che piangono. Gli uomini cominciano a spostare i mobili verso le finestre e a chiudere tutte le tende per non farsi vedere. Alcuni tentano invano di usare il telefono, ma presto capiscono che hanno a che fare con professionisti, quindi l’unica priorità è quella di mantenersi in vita sino all’uscita del sole. Il padrone di casa entra nel suo studio, si avvicina a una credenza dove sono esposte armi da fuoco di ogni tipo, si copre la faccia col braccio, con una gomitata rompe il vetro e comincia a distribuirle agli uomini assieme ai proiettili e dopo qualche istante dalla casa cominciano a sparare.
Dalla base del muro di cinta i cinque cleaners riconoscono subito i colpi di pistola, provenienti da diverse direzioni perché evidentemente quelli che stanno in casa si sono organizzati, alcuni, i più intrepidi, sono persino usciti allo scoperto e sparano dal tetto, ma non potendo vederli, lo fanno all’impazzata. Adesso però è impossibile pensare di localizzare l’obiettivo, è ovvio che bisogna fare diversamente. La domanda è come e cosa? Tutti, tranne Malcolm, cominciano a suggerire modi diversi per portare a termine il lavoro, dall’assalto diretto e fulminante, stile commando, all'invio di un messaggio chiaro e diretto che il problema è il padrone di casa, quindi consegnandosi risparmierebbe la vita alla sua famiglia e al resto delle persone....
«Risparmierebbe l’implosione?», dice Malcolm con voce risoluta. Lo guardano increduli, quella parola suona nuova: non hanno mai usato metodi del genere. Per rendere meglio l’idea tira fuori tutto quello che ha dentro la valigia nera. Accomoda sul muro di cinta più di sessanta pacchi di Sentex (esplosivo plastico di uso militare) con i rispettivi detonatori programmati sulla medesima frequenza. Il resto del gruppo ammutolisce. Si mordono le labbra, scuotono la testa, i tre fratelli si fanno il segno della croce, nemmeno tutto quel freddo può evitare che comincino a sudare, hanno capito che è finita per tutti, non solo per quelli all’interno della casa, per quei poveracci non c’è blindatura ai vetri che regga, più che altro per loro che dovranno vivere con quel peso sulla coscienza. È l’inizio della fine. Logan non riesce a spiegarsi com’è potuto arrivare sino a quel punto, cerca disperatamente di dissuadere quell’animale di Malcolm, l’afferra per un braccio, lo strattona, gli spiega per l'ennesima volta che dentro ci sono bambini che non c’entrano nulla..., ma niente da fare. Malcolm sa quanto l'altro rispetti il grande capo, quindi lo menziona più di una volta per fargli intendere che sono ordini superiori a cui non si può che obbedire. Se ci tiene tanto, che entri in casa e li tiri fuori... Logan è imbestialito. Kevin e Karl intervengono per calmare le acque: in effetti non si può disobbedire a un ordine. Si allontana frustrato, deluso per non sentirsi appoggiato neanche dal suo amico Kevin. Poi Konstant va da lui, gli tende la mano, Logan lo guarda, fa un respiro profondo e assieme vanno ad ascoltare quello che ha da dire Malcolm. Questi, in pochi minuti, dà istruzioni precise: Logan, Karl e Konstant debbono circondare la casa e mantenere occupati gli improvvisati cecchini; Kevin e Malcolm sistemeranno tutto intorno i pacchi di Sentex. Logan, che insieme ai due fratelli ha cominciato a sparare sul tetto abbattendo molti dei cecchini appostati, non perde la speranza di poter colpire l’obiettivo prima che quel pazzo faccia volare tutto, ma non lo rintraccia. Malcolm fa cenno con la torcia laser perché si ritirino dall’area. Tutti e quattro corrono il più lontano possibile per evitare che i detriti li colpiscano, l’unico che rimane in posizione è l’artificiere che sapendo esattamente cosa accadrà non si muove. Il rumore, quasi impercettibile, viene assorbito dalla baldoria delle feste che ci sono nei dintorni. Ancora con la faccia praticamente sotterrata dentro la neve si sorprendono quando Malcolm li richiama ad alzarsi, loro in realtà si aspettavano un forte boato. Cala un silenzio tombale, si sente soltanto il rumore delle fiamme che bruciacchiano alcuni oggetti.


“…L’urlo agghiacciante di un bambino innocente che lacera il cuore...” è veramente qualcosa che non si dimentica facilmente. Quando il cervello reagisce a un avvenimento riprovevole, il nostro sistema nervoso autonomo viene stimolato, l’adrenalina, prodotta dalle ghiandole surrenali, si riversa nel torrente sanguigno, accelerando il battito cardiaco e la respirazione e stimolando la liberazione degli zuccheri immagazzinati, così da produrre energia, ma tutto questo con quali risultati? Le azioni che commettiamo sotto l’effetto dell’adrenalina sono spesso reazioni eccessive e incontrollabili, ma l’individuo è portato a condonare la violenza nella misura in cui lo fa la società a cui appartiene. La rabbia è in primo luogo responsabilità dell’individuo, e noi sappiamo benissimo che i motivi per cui ci arrabbiamo sono soltanto nella nostra testa . . .  Anche se qualcuno pensa che sfogare l’ira invece di contenerla serva a evitarne gli effetti nocivi sulla salute, oggi sappiamo che i veri effetti nocivi li procuriamo alla nostra coscienza, perché l’esperienza ci ha insegnato che sono molto poche le volte in cui arrabbiarsi migliora le cose, in paragone alle innumerevoli volte in cui le peggiora.


I quattro si alzano in piedi, si avvicinano al cratere che si è formato dove prima c’era la casa. Non possono credere a quello che vedono, persino la neve brucia ...
Si guardano negli occhi Logan e Karl e balzano su Malcolm, che sta osservando la scena con un sorriso di compiacimento sadico, lo pestano a sangue. Deve intervenire Kevin e usare tutta la sua forza per togliergli quei due mastini da dosso.
Nel frattempo Konstant ha recuperato uno dei pochi oggetti che sono saltati fuori dal cratere, è un giocattolo, quando lo alza però si rende conto che un paio di dita sono rimaste appiccicate, quasi fuse. Lo fissa per un istante, scuote la testa in segno di disapprovazione, rivolge uno sguardo di disprezzo verso Malcolm, che tossisce, sputa sangue e tenta senza fortuna di mettersi in piedi. Si avvicina lentamente e lo stordisce con un calcio in faccia. Logan avrebbe voluto fargli ingoiare quel pezzo di giocattolo con le dita carbonizzate, a quel negro bastardo, e sbriciolargli il cervello con la sua nove millimetri..., e poi dargli fuoco dopo avergli tagliato testa e mani...., e.... Va verso Konstant, gli strappa dalla mano il pezzo di giocattolo con le dita semifuse,  si dirige verso Malcolm, s’inginocchia e alzandogli la testa, gli grida: «Perché hai voluto farlo in questa maniera? Perché? Carogna! Guarda, devi guardare, queste sono le dita di una bambina, bastardo!». E mentre gli sbatte la testa al suolo: «Potrebbero essere quelle di mio figlio, brutto infame!». 
«Ho soltanto eseguito gli ordini del capo...», farfuglia l'altro tra coaguli di sangue che gli sgorgano dalla bocca.
«La prossima volta che venga lui a farsi questi lavoretti. Io non ci sto più!», grida Logan    sbattendo un'altra volta la testa di Malcolm a terra.
«Il capo voleva dare un segnale. Nessuno può prendersi gioco di lui», sussurra Malcolm prima di svenire.
I tre fratelli, visibilmente contrariati, vogliono soltanto andarsene da quel luogo.
«Cosa facciamo con questo figlio di cagna?», domanda Karl a Logan.
«Se lo domandi a me lo lascerei qui, così gli danno la sedia elettrica».
«Non dirlo nemmeno per scherzo...», replica Kevin senza guardarlo.
Logan è così deluso che vorrebbe uccidere tutti e poi suicidarsi dalla rabbia. Non capisce come i due fratelli più grandi, pur avendo figli, non vogliano punire quel macellaio.
«Forse non ricordi, - dice Kevin rivolgendosi a Logan - ma quando hai deciso di far parte di questo modo di vivere hai anche scelto di non vedere le persone come tali, ma semplicemente lavoro. Tutti prima o poi moriamo, loro hanno soltanto anticipato il giorno».
Logan lo fissa quasi incredulo, non riesce a capire quello che il suo amico di tanti anni sta cercando di dirgli. E poi, che fine ha fatto la promessa che gli aveva fatto alcune ore prima, di seguirlo qualunque decisione prendesse?
«I bambini – gli dice guardandolo negli occhi - sono sacri, intoccabili, senza di loro non c’è futuro, loro non hanno nessuna colpa. Facciamo quello che facciamo soltanto per rendere questo mondo migliore, togliendo di mezzo la feccia, quello che non serve, che non è produttivo, ma non possiamo fare del male a innocenti». Kevin non risponde, quindi Logan gli volta le spalle e si allontana.
Prova nausea per tutto quello che sta accadendo, sente che è il momento di mollare “quel modo di vivere”, come lo definisce il suo amico. Quello che desidera è che polizia, pompieri o semplicemente la forestale arrivino e li arrestino tutti per finire così sulla sedia elettrica. È l’unico epilogo giusto per potersi liberare da quel disonore. Si avvicina a Karl e Konstant e ripete a entrambi quello che aveva appena detto al fratello maggiore e che era esattamente quanto lo zio sempre gli ricordava; si mette a elencare i punti del decalogo dei cleaners, come fosse un rosario: in nessuno di questi viene neppure sfiorata l’idea che si possa accettare di far del male ai bambini. Per Logan è stata un’iniziativa di quell'ex-militare farabutto che, avendo nostalgia della guerra, se ne è inventata una tutta sua; inoltre lo zio è sempre stato molto legato alla famiglia, quindi non può credere, mai e poi mai, che l'idea sia stata sua. I due fratelli si dicono d'accordo, ma non si sbilanciano più di tanto. Forse anche loro hanno lo stesso rimorso, ma non si sarebbero mai azzardati a dirlo ad alta voce. Chi lo sa se un giorno si sarebbero confessati tra di loro rispetto a quella brutta notte? 
Raccolgono il moribondo e decidono partire quella stessa notte, devono per lo meno uscire dallo stato, è più sicuro, è logico pensare che alle prime ore del mattino i vicini si sarebbero accorti dell’accaduto avvisando la polizia, quindi tutti i forestieri in quella zona sarebbero stati quanto meno interrogati.   
Appena attraversato lo stato, vengono a conoscenza dai notiziari che c’è stata una implosione in una villa appena fuori dalla città dello stato confinante, e tutto sembrava indicare una vera e propria resa di conti con pochissimi indizi, cosa che faceva presagire un altro caso difficilmente risolvibile. Tra le vittime ci sono due bambine, una di loro con sindrome di down. Questo fa ribollire ancora di più il sangue caldo di Logan che decide di arrivare fino in fondo alla questione. Non si è mai trovato a dover fare i conti con la propria coscienza come in quel momento. Vuole sapere a tutti i costi se l’ordine di quello sterminio è provenuto dal grande capo, colui che ha sempre rispettato e quasi idolatrato, oppure è stata la mente contorta di un folle ex-marine frustrato. Però di una cosa è certo, quel momento l’ha spinto a prendere una decisione che fino a poche ore prima aveva rimandato, adesso sa esattamente cosa doveva fare. 
Nel frattempo, la polizia di stato, l’FBI, la DEA, l’ATF e altre strutture governative si ritrovano nel luogo con elicotteri, decine di cani, centinaia di poliziotti, agenti e investigatori.  Ognuna delle agenzie cerca di appropriarsi del caso. In realtà l’implosione in quella villa riguarda un po’ tutti, da come si presenta il quadro generale si intuisce che non si tratta di criminalità comune, nemmeno nazionale: sono specialisti venuti dall’estero con la complicità di alcuni locali. Gli scarsi indizi rendono tutto più complicato per gli inquirenti, solo il movente resta l’unica cosa chiara: è una resa di conti. Quello che devono stabilire è con chi, cosa che non sarà facile perché quello che gli investigatori non sanno è che tutte le conoscenze del padrone di casa erano in quella festa, quindi a chi fare domande, su chi investigare? Comunque si affideranno come sempre alla tecnologia e ai test dei DNA per vedere se con un po’ di fortuna riusciranno a scoprire qualcosa. La prima cosa da fare è chiudere i confini della città con la speranza che i responsabili siano ancora nello stato.    
Intanto, Malcolm si ristabilisce dal pestaggio e i fratelli Ku Klux Klan decidono di lasciare le cose come stanno, mentre Logan, che non può fare a meno di avvicinarsi a quel farabutto per sferrargli una ginocchiata allo stomaco e un pugno in faccia, si congeda dal gruppo salutandoli per l’ultima volta, però promettendo che avrebbe scoperto la verità su quel lavoro e, se le cose stavano come lui pensa, avrebbe ritrovato quell’infame e gli avrebbe fatto desiderare la morte.
Dopo qualche tempo Logan riesce ad avere un colloquio con il grande capo, in uno dei summit che si tengono a principio d’anno per organizzare le strategie di lavoro. Lo zio nutre molta ammirazione nei suoi confronti, ripete sempre che è stato la sua miglior creazione. Viene fatto accomodare in un grande salotto, decine di bodyguard lo circondano e lo perquisiscono persino sotto la lingua, quindi, entra il grande capo.
«Non ho molto tempo a disposizione, però è sempre un piacere rivederti».
Logan gli stringe la mano e si siede. Passano subito al dunque. Lo zio gli chiede perché ha abbandonato il gruppo di lavoro sul quale per anni ha fatto affidamento, al che Logan risponde con una domanda: «Che motivo c’era di quella strage?», quasi sperando di sentirsi dire che non c’entrava affatto nella decisione di quel folle. Ma non fu così.    
«Tutti i lavori sono uguali – fu la risposta dello zio – e hanno un capo. Se hai ambizioni puoi scalare le gerarchie, però ogni tappa esige un esame, e più in alto vai più difficile sarà l’esame. Avevo riposto grandi speranze su di te, però mi hai deluso mettendo in discussione i miei ordini».       
«Mi dispiace averla deluso, però mi dispiace di più di non aver capito prima che questo non era il mio modo di vivere».
Se non fosse per la grande stima dello zio verso Logan, e per tutti gli anni di fedele rapporto, quel giorno sarebbe stato l’ultimo per lui, perché nessuno può mettere in discussione i suoi ordin. In fondo, però, lo capisce pure e lascia che sfoghi tutta la sua rabbia nell’unico modo che gli è consentito, parlando. Conosce bene Logan, l’ha addestrato sin da ragazzo, gli ha inculcato precetti, regole, norme, glieli ha tatuati nella mente, e lui per molti anni li ha rispettati come sacra legge; però la stessa persona che per anni gli ha detto di seguire una condotta adesso gli sta dicendo di trasgredirla. E questo nella testa di Logan non trova spazio.
Quella conversazione termina lì, un solo pensiero lo trattiene dal commettere la follia di farla finita in quell’istante uccidendo lo zio, è la sua famiglia, soprattutto suo figlio, quindi si alza, porge i suoi rispetti e si allontana.


Se soltanto si potesse cambiare quell’attimo, cancellare quell’episodio, tutto ciò che conosciamo cambierebbe e ogni cosa – condizione e persone incluse – sarebbe diversa. 
Noi siamo la materia prima di ciò che vogliamo essere, il cambiamento deve cominciare dall’interno, costruire il nuovo io cambiando il vecchio, cosa che dobbiamo fare da soli, nessuno può aiutarci.
“Nessuno può costringere un altro essere umano a emendarsi. Il cambiamento deve venire dall’intimo dell’individuo ed essere voluto”. (Vivien Stern)
Ma bisogna accettare anche quello che non si può cambiare, come quelle malattie che non si possono curare, ma forzosamente bisogna sopportare …  


A quel punto Logan è deciso, vuole cambiare paese e mettersi a lavorare. Trova un posto in una società import/export di impianti di sicurezza industriale e sorveglianza e vi si dedica a tempo pieno. Torna accanto a suo figlio e alla sua donna e nel primo anniversario di quella fatidica notte di Capodanno le chiede di sposarlo promettendo a entrambi che avrebbe cambiato la sua vita radicalmente dedicandosi con tutta la sua anima a loro due. Niente era più importante di loro nella sua vita e l’avrebbe dimostrato facendoli felici.
Per un po' tutto sembra superato, il fantasma di quella serata ignobile pare svanito. Ma c’è qualcosa con cui non riesce a chiudere: il virus chiamato Malcolm. Si è annidato dentro di lui e col tempo comincia a corroderlo, a consumarlo come un cancro. Nel secondo anniversario, di Capodanno, qualcosa comincia a turbarlo, è come un’ombra che lo perseguita senza lasciarlo un instante. Al principio è solo un sentimento amaro, una sensazione di sconfitta che non concede rivincita e che non gli permette di partecipare a quella festa, che dovrebbe coincidere con l’allegria dell’arrivo di un anno nuovo, pieno di sorprese, speranze e la promessa di una nuova vita. Col tempo, controllare quel sentimento è sempre più difficile e l’amarezza si trasforma in dolore.  
Ogni giorno diventa più difficile chiudere col passato, qualcosa non sta funzionando, il fantasma che crede scomparso riappare più reale che mai. Non riesce più a sopportare quell'immenso peso che lo soffoca. Deve sfogare tutta la rabbia che ha dentro, accumulata in quei due anni cercando di reprimere la voglia di vendicare la morte di quelle bimbe. Il più delle volte lo fa al poligono, in palestra, per ore e ore, però non è più sufficiente. Le discussioni in casa si fanno più serie e continue. In uno dei tanti litigi la sua donna decide di allontanarsi per un periodo perché lui possa prendere una decisione, una che metta fine al suo comportamento iracondo che sta sgretolando la relazione famigliare. Si trasferisce da sua madre col bambino e questo innesca in Logan il detonatore che solo lui può disinnescare o lasciar esplodere... Alla fine decide per la seconda opzione.


Il libero arbitrio è un dono di Dio. Napoleone Bonaparte una volta disse: “Niente è più difficile e quindi più importante del saper decidere”. Se non avessi la possibilità di scelta sarei poco più che robot, incapace di controllare le mie azioni, ma poterlo fare comporta delle sfide. Man mano che percorro il cammino della vita sono costretto inevitabilmente a prendere decisioni, siano queste facili o difficili, insignificanti o capaci di cambiare il corso della nostra vita e quello di altri. Quindi non bisogna mai sottovalutare gli effetti delle decisioni.


Contatta vecchi amici al nord, dopo tanto tempo fuori dal giro non vuole ma soprattutto non può correre rischi, quegli anni gli sono serviti per crescere e maturare una coscienza, adesso ha due motivi validi per cui vivere, ma non può continuare a farlo in quel modo, deve chiudere quel capitolo scuro nella stessa maniera in cui è cominciato, ma per tutto ciò è costretto a eseguire per l’ultima volta quel compito che s'era giurato non avrebbe fatto mai più: ripulire il mondo da una scoria.
Fa una visita veloce al figlio e alla promessa sposa e gli comunica la dura decisione di partire. Sente l’obbligo di ripulire la sua coscienza, a modo suo - è chiaro - con le armi, d'altronde non conosce un altro metodo per farlo. Al principio non sono d’accordo nel lasciarlo andare, ma alla fine, quando si rendono conto che non possono far altro, l’accettano, altrimenti niente di quello che avevano creato insieme avrebbe funzionato, sarebbe calata su di lui una benda così spessa che non gli avrebbe consentito di guardare negli occhi sua moglie e sopratutto suo figlio, sì, la benda della sconfitta, del fallimento, della vergogna. È deciso a colpire le fondamenta stesse di quel sistema che conosce benissimo. Promette a entrambi che tornerà vittorioso, quindi non devono preoccuparsi. Allora suo figlio si toglie dal polso un braccialetto di cuoio e glielo consegna, facendosi promettere che l’avrebbe indossato sempre per non dimenticare la promessa di tornare. Logan lo mette al polso destro e parte.
I suoi contatti lo informano di un’importante riunione tra un grossista della zona est e un pezzo grosso del cartel del sud-ovest, guarda caso proprio nella stessa città del nord dove due anni prima si è consumata la tragedia che ha trasformato la sua vita. Deve darsi forza per tornare nello stesso luogo. Parte leggero da casa, ma arrivato a destinazione il suo bagaglio è aumentato: ha una grossa valigia nera. In quegli anni aveva trascorso parecchio tempo a imparare come realizzare un’implosione in ambienti diversi. Conosce con 12 ore d’anticipo il luogo di raduno, un palazzo di 25 piani in costruzione alla periferia della città, si prepara, non vuole lasciare niente al caso. Mentre mette a punto i dettagli del suo piano, giocherella con il braccialetto di cuoio, lo aiuta a mantenere la concentrazione e ricordargli la promessa fatta. Calata la notte, arrivano tutti; convinti che sarà una riunione tranquilla, si sistemano in circolo davanti a un tavolo per verificare la qualità della merce e concordare gli ultimi dettagli dell’imbarco. Nel frattempo Logan si è nascosto dentro uno dei condotti dell’aria condizionata, armato fino ai denti. Da un piccolo buco può vedere tutti, anche se sono di spalle. Quando lo considera opportuno si trascina silenziosamente sino a una delle uscite e si cala dalla finestrella piombando esattamente dietro di loro. Si rendono conto della sua presenza, ma è già troppo tardi, sono tutti sotto tiro. Con lo sguardo passa  in rassegna i presenti e si ritrova niente meno che faccia a faccia con l’ignobile Malcolm, che in quei due anni ha scalato importanti gradini dentro l’organizzazione: adesso coordina grandi spostamenti di droga, armi, denaro, e non solo, sia per conto dei capi del sud che per le guerriglie centro- e sud-americana. Nessuno fa cenno a reagire, non conoscono il soggetto, sul tavolo c'è il chilo di cocaina destinato alla prova, se glielo consegnano – pensano – tutto si risolve, dopo lo rintracciano e gli danno una lezione di buon costume. Ma le cose non andranno così, l'unico che sa quello che sta accadendo è Malcolm...
«Lo sai che questa è la tua ultima transazione, vero?», dice Logan mentre guarda fisso negli occhi colui che tempo addietro ha battezzato con il nome dell'attivista nero.
«E tu sai benissimo contro chi ti stai mettendo, ah! Lo sai, lo sai?», risponde Malcolm con voce arrogante per far intendere ai presenti che ha la situazione sotto controllo.
«I morti non parlano e qui non sarà lasciato nessun biglietto da visita – replica Logan – quindi non fare il bullo!».
«Ma noi siamo tanti, e tu sei solo, dovrai fare una vera strage. Mister giustiziere!».
«È vero! Ti crea qualche problema?».
«Smettila con questa farsa, sei ancora in tempo, non complicarti la vita …».
«Altrimenti, cosa farai?».
«Non ci sarà luogo dove potrai nasconderti, né tu né la tua famiglia…».
«Adesso le cose si fanno a modo mio. Comando io quest’operazione!».
«Ma di quale operazione parli? …».
Dopo quelle parole Logan mette in atto il suo piano. Dalla tasca interna del giubbotto estrae un telecomando con due pulsanti. Posa il dito su uno, Malcolm li conosce bene e comincia a guardarsi intorno. Quando lo preme tutti si gettano a terra coprendosi la testa, soltanto loro due rimangono in piedi, immobili. Entrambi sanno che il primo pulsante è solo per attivare l’ordigno. C’è una scatoletta nera attaccata con uno scotch a doppia presa a ognuna delle colonne portanti, alle quali nessuno aveva fatto caso. Basterà premere il secondo pulsante e tutto imploderà. Logan  ordina al resto dei presenti di rimanere a terra e non muoversi, a Malcolm di voltarsi e inginocchiarsi. Gli si avvicina alle spalle, estrae un coltello da campeggio affilato e glielo getta davanti, estrae la sua pistola e gliela punta alla nuca.
«Cosa dovrei fare con questo, harakiri?», chiede Malcolm.
«Non fare lo spiritoso. Tagliati due dita di una mano. Quelle che preferisci».
Malcolm tenta di voltarsi per guardarlo in faccia e capire meglio l’ordine, ma Logan con la pistola glielo impedisce. L'altro capisce che non ha scampo, quindi prende lentamente il coltello con la mano destra, appoggia la sinistra per terra e si amputa il mignolo e l’anulare. L’adrenalina è così alta che non sente dolore.
A quel punto Logan gli assesta una ginocchiata al collo stordendolo. Il resto degli uomini capiscono che tra di loro c'è un problema in sospeso, qualcosa di personale. Per un momento pensano che se la caveranno, ma quando lui gli ordina per la seconda volta di restare a terra immobili e per farglielo capire uccide due di loro, afferrano il messaggio: sarebbero morti tutti. Logan prende il coltello, lo pulisce sui pantaloni del nero, posa la pistola e con lo sguardo rivolto verso il gruppetto, per accertarsi che nessuno lo sta a guardare, si amputa due dita, quelle della mano destra. Si fascia la mano per contenere l’emorragia, non ha tanto tempo prima che tutti si accorgano che è ferito e perde molto sangue. Dà un calcio a Malcolm per risvegliarlo, questi, ripresosi, nota che accanto a lui ci sono quattro dita, la prima cosa che fa è guardarsi l’altra mano, ma quando la vede intatta rivolge lo sguardo verso l'altro e nota che la mano destra, quella che sostiene il detonatore, è fasciata e sporca di sangue. Realmente pensa che sia impazzito, quindi comincia a trascinarsi lontano da lui, verso gli altri, si scontra con due corpi, li scansa, ma poi guardandoli bene riconosce uno dei morti: è il capo del gruppo con il quale doveva concludere quell’affare. Adesso ha un doppio problema, il primo, uscire da quella situazione, poi giustificare allo zio la morte di quel personaggio che gli avrebbe causato non pochi problemi con i soci restanti del clan. Cerca di pensare in fretta a come cavarsela, ma la grande quantità di sangue perso gli offusca la vista e i pensieri.      
Logan lo guarda e con un sospiro di soddisfazione gli dice: «Queste quattro dita sono il prezzo che dobbiamo pagare per quelle bimbe: le tue per aver ideato tutto, le mie per non avertelo impedito».
«Tu sei pazzo!», urla Malcolm.
È da tanto tempo che Logan aspetta quel momento e pagare il suo debito. Per quanto riguarda la testa del serpente, anche se non è stato in grado di distruggerla, quanto meno quel giorno è riuscito a cavargli un occhio, e tutti sanno che un serpente senza un occhio è preda facile persino di altri serpenti. Sa che non ha molto tempo, prima o poi avrebbe perso i sensi, quindi spara alle gambe di ognuno degli uomini a terra, incluso il nero, poi getta la pistola nel caso qualcuno voglia suicidarsi, ed esce. Tutto è pronto per far brillare l’edificio.
Appena fuori fa un lungo respiro guardando verso l’alto e, mentre si prepara a premere il pulsante, con la mano sinistra cerca il braccialetto che suo figlio gli ha regalato, ma non c’è più. Guarda per terra, si guarda intorno, cerca nelle tasche, ma non lo trova.
«Maledizione! Il braccialetto!».
Torna indietro, cerca di rifare tutto il percorso a testa bassa, scrutando ogni millimetro del pavimento, ma ha perso troppo sangue, si sente debole, è buio, quindi non si rende conto che è tornato esattamente al luogo del raduno, è sulla soglia dell’entrata. Alcuni lampioni illuminano parzialmente il luogo, quanto basta perché Malcolm lo individui. Quando se ne accorge, è troppo tardi: lo sta puntando con la sua stessa pistola. In quel momento ricorda quando ha perso il braccialetto e dove. È stato mentre si amputava le dita, la lama affilatissima e l’angolatura del taglio troppo vicino al polso hanno fatto sì che lo tagliasse, ma non se n'era accorto perché, mentre lo faceva, stava sorvegliando il gruppetto. Malcolm non gli dà tempo di reagire, spara e lo colpisce in pieno all’addome. Crolla sulle ginocchia, poi a terra, però riesce a trascinarsi verso il centro dell’appartamento, trova il braccialetto e lo afferra fortemente. Allora ricorda il momento della promessa, che sarebbe tornato vittorioso. L'altro spara un’altra volta e lo raggiunge al collo, a quel punto si rende conto d’essere spacciato, ma sa che ha ancora il potere di mettere fine a tutto  perché ha in mano il detonatore. Gli escono due lacrime, una per ognuna delle persone che più amava. Il nero preme una e più volte il grilletto, ma i colpi sono finiti, quindi gli tira la pistola. Logan si volta, guarda tutti, chiude gli occhi e … l’edificio implode su di loro.


Ci sono eredità che non hanno bisogno di testamento, sono quelle che ti sorprendono, che ti piace ricevere, perché ti sono concesse, ti appartengono e basta, come la vita, l’aria, i sogni... Un’eredità è paragonabile a un dono... Ma te la devi pur sempre guadagnare.


Alcuni giorni dopo, a casa della promessa sposa si presentano quattro uomini, un signore di una certa età, molto distinto, accompagnato da altri tre uomini. Uno di loro si presenta come avvocato. In quel momento la donna capisce che qualcosa di tragico è successo. Sono lì per far rispettare gli ultimi desideri di un uomo che amava la sua famiglia, le dicono. Lei abbassa la testa, s’inginocchia, abbraccia suo figlio e scoppia a piangere. Il bambino, anche se di giovane età, rimane impassibile e senza distogliere un solo istante lo sguardo da quegli uomini, accarezza teneramente i capelli di sua mamma. Dopo qualche minuto, il signore anziano l’abbraccia dolcemente e le sussurra all’orecchio quanto gli dispiaceva l’accaduto, ma era lì non solo per dare brutte notizie, doveva sistemare alcune cose che la riguardano molto da vicino, e mentre lo dice rivolge lo sguardo al piccolo. Lei allora li fa accomodare in salotto. L’unico a sedersi è l’anziano, gli altri rimangono in piedi dietro di lui. Conosce bene la situazione della donna, sola e con un bimbo da crescere, in un mondo che non risparmia nessuno, ancor meno gli indifesi, e lui quello non l’avrebbe permesso, quindi da quel momento si sarebbe preso cura di entrambi, soprattutto dell’educazione e dell’addestramento di quel bambino che gli ricorda tantissimo Logan alla sua età. Lei al principio non è convinta, ma il vecchio la persuade quando dice: «Sai figliola, tanti anni fa avevo creato il mio erede, ma poi decise d’andarsene, adesso l’ho ritrovato e non ho intenzione di lasciarlo andare. Fidati, so esattamente cos’è meglio per tutti!».
Si faceva chiamare “lo zio” …  Ma questa è un’altra storia. 

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il 7/2/2014


Osservatorio sulla contenzione
a cura di Grazia Serra

  
   

   
    a cura di Francesco Gentiloni

" Il grado di civiltà di un Paese si misura osservando la condizione delle sue carceri"
Voltaire

 


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