Rinascita: Quando hanno aperto la cella, Stefano Cucchi e gli altri
Tredici storie di vittime per mano dello Stato. Il saggio di Luigi Manconi e Valentina Calderone sulla lenta morte dello Stato di diritto
Matteo Mascia
Ci sono morti che in Italia fanno meno rumore di altre. Tra le più silenziose ci sono quelle di chi è costretto in carcere o quelle di chi muore dopo essere stato sottoposto ad un fermo di polizia.
Per loro nessuno si preoccuperà di costruire plastici che riproducono la scena del delitto o di chiedere il parere degli “esperti” da salotto televisivo, quella compagnia di giro subito pronta ad emettere sentenze inappellabili sui fatti di cronaca che vanno per la maggiore nell’opinione pubblica. Tra le celle dei penitenziari italiani si consumano delitti che sono aggravati dal fatto che qui è lo Stato a vestire i panni del carnefice o, peggio, a coprire con mezze verità ed ipocrisie i veri responsabili.
Una costante che viene accettata in maniera arrendevole anche da certa magistratura. Spesso si preferisce proporre l’archiviazione piuttosto che andare a fondo di vicende dai contorni poco chiari. Gli ingredienti sono sempre gli stessi: testimonianze pieno di “non ricordo”, relazioni di servizio lacunose e referti medici misteriosamente scomparsi dalle cartelle cliniche. Una sceneggiatura che finisce per ammazzare due volte le vittime di quelli che dovrebbero i tutori dell’ordine costituito. Cittadini protagonisti di vicende sconosciute che vengono rapidamente dimenticate dal sistema dei media. In pochissimi casi qualcuno si prenderà la briga di farsi delle domane sul perché il malcapitato abbia potuto varcare l’uscita del penitenziario solo all’interno di una bara. Si preferisce fornire ai lettori un’analisi dei fatti di sangue che nascondo una morbosità neanche troppo latente; l’infanticidio od una morte preceduta da una violenza sessuale faranno sempre più audience di un povero disgraziato impiccato alle sbarre della sua cella.
Il saggio di Luigi Manconi e Valentina Calderone “Quando hanno aperto la cella” (Il Saggiatore, pagg. 243, euro 19) racconta tredici casi emblematici. Tra gli episodi analizzati non poteva mancare quello che ha coinvolto il giovane romano Stefano Cucchi, fermato dai Carabinieri dopo essere stato trovato in possesso di una modica quantità di stupefacenti.
Quel corpo martoriato, quella faccia tumefatta, quelle gigantesche ecchimosi intorno agli occhi non possono che rimanere impresse nelle mente di chi pensa che l’uomo vada rispettato a prescindere dagli eventuali addebiti penali. Il processo stabilirà chi dovrà essere considerato responsabile per la sua morte. Un sentenza che non sarà comunque in grado di cancellare il dolore provato dai suoi familiari.
Persone che non potranno nemmeno dimenticare le parole di un sottosegretario che, dai microfoni di un’emittente radiofonica, affermava con certezza che Cucchi era morto perché tossicodipendente. Frasi destituite di ogni fondamento che tuttavia evidenziano come alcuni protagonisti della vita politica nazionale considerino il problema delle morti in carcere.
La raccolta di “morti per mano dello Stato” stilata dall’ex Senatore dei Verdi comprende anche quella di una ragazza ricoverata presso un ospedale psichiatrico giudiziario. Strutture dove i progressi della moderna psicologia sembrano non essere mai arrivati. Sfogliando le pagine del volume si rimane atterriti nello scoprire che negli anni Duemila si utilizzano ancora i letti di costrizione. Strumenti vietati dalle normative vigenti e sottoposti a forti limitazioni perfino quando a regolamentare i ricoveri in queste strutture erano i regolamenti del Regno d’Italia. Evidenze che non spingono nessuno – né tra i magistrati né tra i politici – ad intervenire per rimuovere un fenomeno che rischia di assumere i connotati della tortura. Un delitto che, è bene ricordarlo, non è punito dal nostro codice penale. Una grave lacuna che è stata spesso sottolineata da diversi organismi internazionali. Leggere quanto raccolto nell’opera di Manconi e Calderone deve servire come esercizio di memoria collettiva. Il rantolo di questi cittadini lasciati soli di fronte alle angherie di uomini in divisa eviterà che si continui con la rimozione di quanto succede tra le mura dei penitenziari. Far finta di non vedere equivale a rendersi complici.
14 Giugno 2011 12:00:00 - http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=8833
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