Home            Chi Siamo             Links             Cerca             Contattaci


Come rapiti da un gioco folle

S R

Lungomare di Riccione, una mattina come tante e assurda come poche, un cappuccino che non ha niente di diverso da quelli delle altre mattine, ma su cui mi concentro come se mi trovassi ai piedi di un guru che sta per svelarmi i misteri della vita... e in certo senso sta per farlo. Veramente, più che il cappuccino deve essere la mescalina che mi ha dato Stefano ieri sera al Pasha oppure una delle sostanze che ho assunto nella nottata. Bel miscuglio, però funziona! Beh, quanto meno 'sto cappuccino mi sta svelando un sacco di cose; non capita tutti i giorni di scoprire il senso della vita in un qualunque squallido bar della riviera romagnola. Giro lo zucchero con intensa regolarità e mi rendo conto che l'universo e tutti i suoi elementi, sin dal primo momento, hanno continuato a muoversi, lentamente, inesorabilmente, dando vita alle galassie, ai pianeti e infine a noi,  espandendosi dal centro verso l'esterno e roteando come una spirale. Sarà per questo che sento il bisogno di girare il mondo? Che sia un moto “natu”?
«A Simo', ma te lo bevi 'sto cappuccino o devi continuare a girarlo ancora per molto? Gli hai fatto un buco a 'sta tazzina. Mi stai innervosendo!».
Pasquale, il più nervoso di noi, riesce sempre a rovinarmi il momento della riflessione. Beh, in fondo la testa gli serve solo a separare le orecchie. Come percepisce qualche neurone che lavora, non suo ovviamente, si infastidisce. Che rompiscatole! Si sente il capo e invece è solo una capa e..., è bravo solo a provocare risse e combinare guai.
Dov'ero rimasto? Ah sì, il cappuccino... l'universo... ma no, non funziona più! 'Sto scocciatore! Stavo per scoprire il segreto dell'infinito... Vabbè, forse ha ragione lui. Fammi bere 'sto cappuccino prima che fredda. Ma perché è così nervoso? Continua ad agitare le gambe, mentre noi due siamo tutti squagliati dalla serata in discoteca.... Bella davvero la biondina! Come si chiamava? Ah sì, Vanessa. Peccato fosse col ragazzo, sennò ora sarei in paradiso, nella mia stanza d'albergo sdraiato con lei, soddisfatto che il mondo gira e non interrogando un cappuccino sul perché lo fa, co' 'sti due drogati accanto! Beh in fondo sono miei amici... La biondina però era più bella, mi ha lasciato il suo numero di telefono, più tardi la chiamo e ci esco stasera. Mi è sembrata pure sveglia, ci mette due minuti a sistemare il ragazzo, sfigato!
Ma guarda quel cesso del tavolo accanto! E quel balordo seduto con lei? Lei deve essere una prostituta e lui il suo protettore, uno slavo. Quando sono entrati nel bar? durante la creazione dell'universo o intanto che la biondina lasciava il ragazzo? Certo che lei è proprio brutta! Ma chi paga per andare co' 'sto mostro? E guarda un po', Pasquale se la ciocca pure, 'sto disperato! Anzi non è che la guarda, la fissa proprio. Mah... Ecco, lei si sente osservata e s'atteggia pure. Fa la diva, fa!
Esco dai miei pensieri per gustarmi la situazione comica, do un'occhiata alla faccia da macho di Pasquale, giro lo sguardo verso Stefano, che contraccambia la mia faccia sbigottita con la sua altrettanto incredula, e sbotto a ridere spruzzando il cappuccino che nel frattempo mi ero deciso a bere. Era destino che non facessi colazione stamattina. Lo slavo si gira verso di me che insieme a Stefano sto sbellicandomi dalle risate, mentre Pasquale continua a fissare lady Godiva che, attirata dal nostro baccano, contraccambia con un sorriso.
Il pappa sta diventando viola dalla rabbia e, guardandolo in faccia, noto due brutte cicatrici sulle guance. Ce l'ha scritto in fronte: 'carne umana vendesi'. Era più bello di spalle. Ci guarda con la faccia cattiva attraversata da una smorfia di malavita, trafigge con lo sguardo Pasquale e gli dice: «Che cazzo ti guardi? E loro che c'hanno da ridere?».
Il locale sprofonda nel silenzio, la quiete prima della tempesta. Che grosso sbaglio ha appena fatto! Coraggioso o stupido. Il viso di Pasquale si dipinge di un ghigno diabolico che ha un non so che di accattivante. Sarà la droga? Ma no, lui è matto di suo. Lo conosco quel sorriso, non preannuncia niente di buono. Vorrei dirgli di lasciar perdere, ma so che qualunque cosa possa dirgli in quel momento lo farebbe scattare. Prima di rendermene conto, sono già in piedi anch'io, con i muscoli del corpo in tensione e la mascella contratta. In fondo non mi sono mai piaciuti i papponi. Il padrone del bar è impietrito, mentre la bruttona urla qualcosa in slavo al suo compagno; cerca di calmarlo, si capisce dai gesti, ma lui vuole fare l'uomo. Tre contro uno. Spavaldo quanto scemo, comincia a insultare Pasquale. È chiaro, l'hanno presa male. Stefano e io ci facciamo da parte, pronti a intervenire all'occorrenza. Lady Godiva continua a strillare, mentre i due si fronteggiano e il barista, preoccupato per il suo locale, ci intima di uscire dal bar minacciando di chiamare la polizia. La polizia! Siamo a Riccione, quanto casino che fa 'sta scema.
«Sta' zitta, puttana!» le urlo.
Lei si azzittisce e lo slavo si gira verso di me farfugliando qualcosa, ma viene interrotto da un pugno ben assestatogli da Pasquale. Fiotti di sangue cominciano a sgorgargli dalle narici, barcolla all'indietro travolgendo un tavolino e quasi cade a terra. Si barcamena tenendosi in piedi per miracolo, si tocca il naso o quel che ne resta, afferra un portacenere e bum, colpisce Pasquale che finisce a terra. Stefano fa per colpire lo slavo che, schivando il pugno, raggiunge la donna verso l'uscita del bar, mentre io corro dal mio amico per aiutarlo a rialzarsi, ma non ce n'è bisogno: si alza di scatto, ha una leggera ferita sulla fronte, va verso il bancone e tra le imprecazioni del barista afferra un grosso coltello dal lavello e esce di corsa all'inseguimento dello slavo che, oltrepassata la vetrina del bar, si è infilato in un vicolo cieco rincorso da Stefano. La furbizia non deve essere il suo forte... Stefano lo fa cadere con uno sgambetto, aiutato dall'equilibrio precario dovuto all'alcool e a chissà cos'altro. Cade rovinosamente faccia a terra e Pasquale, che nel frattempo lo ha raggiunto, gli infila, con la freddezza di un assassino consumato, il coltello tra le costole e si scosta dalla vittima,  un po' spaventato, un po' convinto che la coltellata abbia sistemato la questione. Non è così. Lo slavo, come un immortale di un film, si alza con fatica, si sfila con evidente sforzo e dolore il coltello da sotto la spalla destra. Un attimo che sembra durare un'eternità e preannuncia qualcosa di sinistro, come per un sesto senso avverto il pericolo e sento che quella storia non doveva neanche cominciare, che lo slavo non doveva rialzarsi, che non doveva sfilarsi il coltello e minacciare Pasquale.
Dovrei scappare, è questo che mi dice l'istinto di conservazione, tanto più che le sirene della polizia si stanno avvicinando: il proprietario del bar ha chiamato gli sbirri. Però non posso lasciarli qui. Loro non lo farebbero, o forse sì... Me ne frego, mi scaglio contro di lui dandogli un calcione sulle gambe che lo fa cadere. Come rapiti da un gioco folle, cominciamo a riempirlo di calci e pugni, mentre lui si dimena sul cemento del parcheggio in fondo al viottolo. Botte terribili e crudelissime, ma lui non cede, sembra fatto di gomma, non cerca neanche di ripararsi, ma tenta di reagire scalciando e tirando pugni all'aria. Finché Stefano, in apparenza il più sano di mente di noi, raccoglie un tubo Innocenti da terra e gli assesta un colpo da lanciatore di baseball dietro la nuca. Il cranio dello slavo si fracassa come una noce di cocco sotto il colpo di un martello, lasciando intravvedere la carne sanguinante. Digrigna i denti in un sadico sorriso, per l'ultima volta nella sua misera esistenza, e cade giù, sconfitto, questa volta definitivamente.
Noi tre ci scambiamo sguardi sbigottiti, inorriditi, sguardi di chi ha esagerato... Ma non c'è tempo per i sensi di colpa. Le sirene sono vicine e il barista, atterrito, in cima al vicolo grida qualcosa che non comprendo subito, il mio cervello non ha il tempo di recepire altro, preso in mille congetture e nella ricerca delle vie di fuga. Non c'è dubbio, scappare insieme è troppo pericoloso: «Ognuno per sé e Dio per tutti!», questo è tutto quello che da dirgli in quel momento. Ci scambiamo degli sguardi consapevoli che rischiamo grosso e che, probabilmente, non ci vedremo per un po'. E via di corsa in direzione opposta alle sirene della polizia.

Stefano e Pasquale non li ho mai più visti, sono passati venti anni, oggi i miei migliori amici sono Rubin e Giada, i miei due tesori avuti da Gemma, facoltosa costaricana che nulla ha potuto contro il fascino latino di un emigrante inquieto ma onesto, arrivato a Isla del Coco con i pochi risparmi delle sue scorribande giovanili, in fuga dal suo passato sfuggitogli di mano.
Ed eccomi qua, sul lungomare di ponente, nel bar regalatoci da quel riccone del padre di Gemma per le nostre nozze, lo stesso bar dove ho cominciato a lavorare sodo per dimenticare una cazzata giovanile che poteva costarmi parecchio, cercando di ricominciare una vita partita con il piede sbagliato.
Dicevo: eccomi qua... La mescalina è molto più forte di quella romagnola e anche la riviera non è proprio la stessa. I bambini e Gemma sono da sua madre e il bar l'ho chiuso prima del solito per “meditazione”.... Ecco, sento un piacevole calore che mi pervade il corpo e i pensieri iniziano a confluire in un unico filo logico. Il rumore del beccuccio della Gaggia che sbruffa nella tazza comincia ad assumere un suono metallico e amplificato. Sta facendo effetto, giusto in tempo: il cappuccino è pronto. Verso lo zucchero perso in un milione di emozioni e comincio a girare, dal centro verso l'esterno... È così che è nato l'universo... Lentamente, pazientemente...

Share/Save/Bookmark
 

Numero dei detenuti presenti su 43084

61.481 detenuti
il 7/2/2014


Osservatorio sulla contenzione
a cura di Grazia Serra

  
   

   
    a cura di Francesco Gentiloni

" Il grado di civiltà di un Paese si misura osservando la condizione delle sue carceri"
Voltaire

 


Relizzazione tecnica: Emiliano Nieri
Progetto grafico: Enrico Calcagno, Daniele Funaro - AC&P - Aurelio Candido e Partners
Powered by Joomla!