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Il male dentro
Antonella Barone
Un agente carcerario appena assunto finisce per una casualità in mezzo ad una rivolta esplosa nel braccio di massima sicurezza e, per evitare di essere preso in ostaggio, si finge detenuto. Gli eventi lo spingono fatalmente in prima linea finché si ritrova a condividere con il pluriomicida Malamadre le ragioni e il controllo della sommossa. Stando alla trama,“Cella 211”, tratto dall’omonimo romanzo di Francisco Pérez Gandul (pubblicato in Italia da Marsilio Editori) avrebbe già tutti i requisiti per rientrare tra i   prison movies di successo dove, a cominciare dai vari Distretti 13, non mancano alleanze tra giovani poliziotti e vecchi criminali contro un potere che si scopre corrotto e violento.
David Monzon, esordiente nel 2001 con il pluripremiato “El corazon del guerriero” (ma che con The kovak box – controllo mentale” sembrava essere stato già arruolato dal cinema d'intrattenimento) con Cella 211, girato in digitale e in location reali, realizza un piccolo thriller dai grandi temi che conquista il pubblico, convince la critica e totalizza ben otto premi Goya tra cui quello per miglior film, miglior regia e miglior attore.
Pur muovendosi all’interno del cinema di genere ,Monzon scombina ruoli, schiva il clichè dell’eroe fuori legge, racconta, in chiave realistica, con riprese sobrie e montaggio serrato, miserie e tradimenti da entrambi le parti delle sbarre. E, infine, benché non risparmi  allo spettatore l’escalation di tensione finale, non concede epiloghi rasserenanti.



Anche se Celda 211 è tratto da un romanzo di finzione,  lei e il co- sceneggiatore avete incontrato detenuti ed operatori per realizzare un´ambientazione realistica. Dopo questa esperienza è cambiata la sua idea del carcere?


Beninteso, dopo questo periodo di tempo in contatto con detenuti familiari di detenuti, funzionari ed educatori penitenziari, la tua visione del carcere cambia necessariamente. Non è la stessa cosa conoscere una realtà in concreto piuttosto che attraverso le informazioni dei giornali, i libri o i film. Quello che Jorge Guerricaechevarrìa – il mio co-sceneggiatore – ed io intendevamo prima di scrivere la sceneggiatura era tentare di conoscere la realtà dei prigionieri spagnoli per saper almeno da dove mentivamo con la nostra storia di finzione. La finzione manipola con effetti drammatici la realtà, tuttavia questa manipolazione si può effettuare in diverse forme. Noi pensiamo che, in qualche modo, la nostra storia rifletterà lo spirito di tutte queste visite e conversazioni intrattenute con la gente del carcere, pensiamo che l’universo che abbiamo conosciuto arriverà in qualche modo allo spettato


Qual è stato l´atteggiamento delle autorità penitenziarie spagnole nei confronti del vostro film?   Hanno preso visione della sceneggiatura  prima di concedervi la location?

La direzione generale dell’Amministrazione penitenziaria ha letto il copione prima di lasciarci girare in una delle sue celle, oggi chiuse. Mi è stato chiesto di affrontar di petto l'argomento, di non cercare di ingannare, di mostrare apertamente la storia che volevamo raccontare. Fortunatamente, il capo ufficio stampa dell’Amministrazione penitenziaria è una persona eccellente, di grande sensibilità e intelligenza e ha capito da subito che se in questa storia qualcosa usciva male, non era il mondo carcerario bensì la condizione umana. Il copione gli sembrò magnifico e pensò che doveva sostenere un film tanto rischioso e controcorrente come questo. Di fatto, prima della mia richiesta di raccontare con detenuti veri all’interno del cast del film, la collaborazione è stata istantanea. Gli è sembrata una buona idea di reinserimento il fatto che detenuti in libertà condizionata potessero partecipare ad una esperienza come questa. Al film, in questo modo, è stata conferita una grossa dose di realismo. E la convivenza degli attori e di tutta l’equipe tecnica con i detenuti è stata una fonte di ispirazione costante, non solo sul piano creativo, ma anche umano. E’ giusto riconoscere che ’Amministrazione penitenziaria è piena di gente che lotta giorno per giorno affinché il sistema sia un po’ più umano.


E´ stato detto che  Francisco Perez Gandul nel  romanzo Celd 211  coniuga la provocazione pura  e la polemica politica. Pensa che questa definizione si adatti anche al suo film?


Quel che più mi ha interessato dall’inizio del libro e mi ha spinto a realizzare il film è stata la sua sorprendente vocazione alla tragedia classica. Mi ha commosso la parte umana prima che la provocazione politica. Indubbiamente, quest’ultima è presente ma ho sempre voluto che fosse in sottofondo, che non fosse in primo piano. Credo che le riflessioni sociali o politiche che un film possa suscitare siano sempre più vigorose se basate su conflitti umani che commuovano lo spettatore. Ricordiamo per esempio “Missing” di Costa Gavras o qualche film di Francesco Rosi. Se il loro messaggio socio-politico ci commuove è perché i loro personaggi e le loro circostanze ci toccano, ci colpiscono, perché ci identifichiamo con i loro protagonisti e ci interessa il destino che devono vivere. Questo è quel che ho sempre voluto che accadesse in “Cella 211”, che la tragedia personale di Juan Oliver colpisse lo spettatore. E il suo rapporto di amicizia al limite dell’abisso con Malamadre finirà per commuovere profondamente. Solo così il commento sociale e politico del film acquista profondità e riesce anche a suscitare rabbia nel pubblico, come di fatto mi accorgo che succede alla maggior parte di quanti vedono il film.


All´ultimo festival di Berlino  sono stati presentati diversi film ambientati in carcere o in altri luoghi di privazione della libertà, da  “Shutter Island” di Martin Scorsese al romeno “Se io voglio fischiare, fischio”,   all´austriaco "Il rapinatore", di Benjamin Heisenberg, al   norvegese"Una specie di gentiluomo"di Hans Petter Moland per non parlare del recente successo de “Il profeta” di Jacques Audiard. Un critico italiano ha scritto in proposito “sembra   che oggi a tutte le latitudini questo mondo somigli ad una prigione”.  Condivide questa affermazione ?

Quando Jorge Guerricaechevarrìa ed io visitavamo le carceri e parlavamo con detenuti e funzionari, ci rendevamo conto del fatto che il mondo carcerario rifletteva in modo condensato il mondo di fuori e che il nostro film si apprestava a ricoprire senza quasi senza rendercene conto una certa qualità di favola o parabola sulla società esterna. Quando abbiamo trasmesso questa idea ad un detenuto russo, molto spiritoso, ci disse che, in effetti, “il mondo del carcere è esattamente uguale a quello di fuori solo che in mp3”. Questa frase tanto pertinente quanto sintetica l’ho tenuta presente durante tutto il processo di realizzazione del film perché, in effetti, attraverso il microcosmo della prigione si può parlare del mondo intero.


Il cinema, soprattutto quello statunitense, e la televisione sono responsabili di molti stereotipi riguardanti il carcere. In Celda 211 il fato  invece capovolge i ruoli e questo disorienta lo spettatore, disturba e fa pensare. Crede che questo possa aiutare a vincere i luoghi comuni?


Sin dalla scrittura della sceneggiatura Jorge ed io ci siamo riproposti di non rivedere alcun film carcerario per cercare di superare i luoghi comuni. La nostra intenzione sin dall’inizio è stata di far sì che “Cella 211” avesse uno sguardo proprio, originale, e per questo la nostra ispirazione doveva provenire dalla trama che proponeva il libro e dal nostro personale contatto con il mondo del carcere e la particolare idiosincrasia del penitenziario spagnolo. Se, come la domanda lascia trapelare, il film infine provoca e fa pensare, credo che questa potrebbe essere una delle ragioni dello spettacolare successo che ha conosciuto in Spagna. Io credo che lo spettatore desideri affrontare storie che gli propongano viaggi di intensità emotiva, che lo sottopongano ad uno sforzo, che lo facciano emozionare e riflettere. Non posso essere più in disaccordo con quanti considerano lo spettatore come un mite agnello al quale bisogna dare cose masticate e che non lo sottopongano al minimo sforzo. Io credo che lo spettatore è intelligente. E di fatto, molto più intelligente di me.
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61.481 detenuti
il 7/2/2014


Osservatorio sulla contenzione
a cura di Grazia Serra

  
   

   
    a cura di Francesco Gentiloni

" Il grado di civiltà di un Paese si misura osservando la condizione delle sue carceri"
Voltaire

 


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