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In corpore vili
La nobiltà di Pannella in sciopero della fame per l’allarme carceri, la mitezza legionaria di Gasparri
Luigi Manconi
1. Sul Foglio del 15 luglio Luigi Amicone e Lorenzo Strik Lievers invitano questo quotidiano a condurre -come sa fare magnificamente  quando proprio proprio ci tiene-  una efficace mobilitazione a favore di una politica di riforma del sistema penitenziario italiano. Una simile iniziativa  è drammaticamente urgente e indifferibile e mi auguro che il Foglio presti ascolto. Intanto, va notato come l’azione di Marco Pannella abbia già conseguito qualche risultato. Penso che ciò si debba, in primo luogo, proprio al repertorio d’azione scelto: e, specificatamente, allo sciopero della fame. Questo ha già ottenuto un’ampia risposta all’interno delle carceri. E comprensibilmente: il carcere è forse  il luogo dove il corpo assume un senso più potente e ineludibile. Di conseguenza, lo sciopero della fame –la rinuncia a nutrire il proprio organismo- “dà corpo” a una domanda incontenibile di giustizia: e questo, forse più di qualunque altro messaggio, può incontrare la sensibilità della popolazione detenuta. Il corpo di Pannella che dimagrisce e si disidrata, che si debilita e, allo stesso tempo, diventa cavernoso (non più solo la voce, ma quella sua grande cassa toracica); e, poi, l’illanguidirsi dell’organismo che pure conserva una sua ferrigna secchezza, quell’allungarsi di dita, capelli, ciglia e sopracciglia e quel diventare tutto più aguzzo e, dunque, intrattabile e tuttavia accogliente in quanto inerme e disarmato: ecco, tutto ciò costituisce una realtà tangibile e palpitante, che il detenuto e il suo corpo ristretto conoscono bene. Pannella, e quanti intraprendono lo sciopero della fame, dicono: mettiamo in gioco ciò che abbiamo. E, per molti, ciò che abbiamo è l’unica cosa che abbiamo: la nuda vita e l’organismo fisico che la custodisce . E’ il messaggio più intellegibile e ragionevole per chi si trovi prigioniero. L’ironia dei satolli e dei soddisfatti, dei bennati e dei ben pasciuti sui cappuccini di Pannella e sulla sua “dieta intermittente”, mai la potreste udire all’interno di una cella. Lì sanno bene cosa voglia dire disporre solo ed esclusivamente del proprio corpo (e altrettanto ritiene Pannella “dopo sessant’anni di non-democrazia”). Sino a qualche anno fa, infatti, la principale forma di comunicazione in carcere era quella espressa nell’atto del “tagliarsi”: ferirsi su tutto il corpo, cucirsi le labbra e i genitali, ingoiare oggetti. Il corpo come solo mezzo di comunicazione, carta su cui scrivere (ferite e tatuaggi), strumento per lanciare messaggi. Il proprio sangue come inchiostro di un linguaggio irreparabilmente cruento. Lo sciopero della fame in carcere ha comportato spesso la morte (e non solo per Bobby Sands): per questo il corpo smagrito e quel torace cavo di Pannella pesano tanto nella sensibilità dei detenuti italiani. È la stessa ragione per cui pesano così poco nella percezione del ceto politico italiano. (Penso che vi sia un sottilissimo filo che accomuna i corpi ristretti dei detenuti ai corpi prigionieri del coma e dello stato vegetativo. Ma nessuno sembra volerlo cogliere, a parte Alessandro Bergonzoni).
2. Il  senatore del Pdl, Maurizio Gasparri, intervistato dal Secolo d’Italia ( 16 luglio) a proposito delle critiche della Corte europea per i diritti dell’uomo  di Strasburgo sull’applicazione del 41bis, si è espresso come segue: “Astruserie di persone prive di buon senso (...).Quella  Relazione  della Corte è carta da camino, materiale di scarto, buono per accendere il fuoco. Questi signori discettano di diritti in maniera astratta. Noi li ignoreremo, il nostro disprezzo sarà totale (…). E con quella relazione ci puliremo le scarpe. Usano gli stessi argomenti degli avvocati di Totò Riina”. Così, pacatamente, Maurizio Gasparri.Va notato che il giornalista del Secolo, che ha trascritto fedelmente le risposte del senatore,  ha omesso di riportare l’ambientazione (la location, direbbe Deborah Bergamini). Entratone furtivamente in possesso, sono in grado di riprodurre l’atmosfera e le sonorità, registrate tramite un telefono cellulare. Il luogo è quello che una volta era un baretto, poi una paninoteca, oggi un pub. Il nome è rimasto sempre lo stesso: “all’allegro legionario”, e si trova lì, da qualche parte nei pressi di Tomba di Nerone. L’intervista a Gasparri si svolge in un clima di virile e ribaldo cameratismo: sullo sfondo il canto di “ma che ce frega ma che ce ‘mporta” si intreccia a quello di “e nei suoi occhi un raggio d’infinito/s’accese pien d’audacia e balenò” . Mentre l’intervista prosegue, si sentono i suoni inconfondibili di rutti tonitruanti e di quella che sembra essere indubitabilmente una gara di scorregge. Dopo uno Sssst che produce un provvisorio silenzio, irrompe il fragore di una “pagnottella” (rumore liquido che si ottiene ponendo la mano sotto l’ascella e sbattendovi forte  il braccio). Poi l’euforia si placa, ma quando Gasparri afferma che con le critiche di Strasburgo “ci puliremo le scarpe”, si sente nitidamente un : si, spacchiamogli il culo a quei finocchi della Corte. Qui mi fermo, ma la registrazione integrale è a disposizione di un eventuale giurì d’onore ( auspicabilmente formato da Giuseppe Ciarrapico, Martufello  e Er Canaro).
il Foglio 19 luglio 2011
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Numero dei detenuti presenti su 43084

61.481 detenuti
il 7/2/2014


Osservatorio sulla contenzione
a cura di Grazia Serra

  
   

   
    a cura di Francesco Gentiloni

" Il grado di civiltà di un Paese si misura osservando la condizione delle sue carceri"
Voltaire

 


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