Le proteste nelle carceri Italiane Per fortuna i detenuti sono intelligenti e pazienti. Ma fino a quando? Solo la straordinaria maturità collettiva e l’infinita pazienza della popolazione detenuta fanno sì che le proteste di questi giorni continuino a rimanere non violente. Il merito non è, certo, del capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Franco Ionta, che considera le agitazioni- Dio lo perdoni- come “l’esito delle visite dei parlamentari”; e non è, certo, del governo, che sa solo rimandare la soluzione del problema alla “realizzazione di 18.000 nuovi posti”. Campa cavallo. Si tenga conto che, quell’infinita pazienza, dura da oltre 2 decenni: e che l’unico sollievo che il carcere ha ricevuto, lo si deve al provvedimento di indulto, i cui effetti positivi tendono ormai ad annullarsi. Ciò mentre cresce, irresistibilmente, la nefasta tendenza alla carcerizzazione come risposta, pressoché unica, alla marginalità sociale e alla devianza diffusa. Cos’altro è, se non questo, il nuovo reato di immigrazione clandestina? La via da percorrere è esattamente quella opposta: una riforma coraggiosa, che proceda nel senso della de-penalizzazione e della de-carcerizzazione, e che ricorra alla reclusione in cella come extrema ratio, ampliando il ventaglio delle sanzioni alternative al carcere. Si consideri che, se le attuali proteste non diventano violente, è perché- a differenza degli anni ’70- i detenuti non sono più coloro che “non hanno nulla da perdere”. Ma fino a quando? |
- Pubblichiamo il racconto di Antonio Argentieri, apparso sul sito www.terramara.it, in cui denuncia un pestaggio subito da alcuni agenti del carcere di Arezzo nel 2004
- Pubblichiamo una serie di lettere inviate da detenuti a Radio carcere, trasmissione settimanale a cura di Riccardo Arena, su Radio Radicale
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- Ergastolani: una protesta ignorata
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- Leggete e diffondete: mio padre per l'ennesima volta è in grave pericolo
- Comitato educatori penitenziari: per "alternative al carcere" servono più educatori
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