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È recentissima la quindicesima Conferenza dei Direttori delle Amministrazioni Penitenziarie sul tema “Prigioni sovraffollate: cercando soluzioni”. Promossa dal Consiglio d’Europa, si è tenuta a Edimburgo dal 9 all’11 settembre scorsi.
Il sovraffollamento costituisce oggi uno dei problemi principiali nei sistemi penitenziari europei in generale. Il Consiglio d’Europa, dal canto suo, ha elaborato negli anni una serie di Raccomandazioni capaci di avere tra i loro principali effetti indiretti un forte contenimento del problema. Queste Raccomandazioni, che vanno lette in un orizzonte organico e interrelato, guardano al compito basilare di codificare quei principi di rispetto dei diritti umani che i Paesi europei hanno scelto di volere a fondamento dei propri sistemi, e hanno come conseguenza di questa attenzione una riduzione dell’area penitenziaria, riduzione che acquista così un valore ben più grande di quello che avrebbe se fosse assunta quale obiettivo diretto in vista di una qualche necessità gestionale.
Una sola tra queste Raccomandazioni si propone invece in maniera esplicita, almeno guardando al titolo, di combattere il sovraffollamento penitenziario. Si tratta della “No. R (99) 22 del Comitato dei Ministri agli Stati Membri riguardante il sovraffollamento penitenziario e l’aumento della popolazione carceraria”, adottata appunto nel 1999. Leggendo però il testo della Raccomandazione e i principi elencati nella sua appendice, si vede come le soluzioni auspicate continuino a far riferimento a quel quadro di sistema cui si accennava sopra. Non rimedi ad hoc per uscire da un’emergenza momentanea, ma piuttosto la riproposizione di principi generali sul corretto utilizzo della custodia cautelare, sulla finalità della pena detentiva, sul rispetto della dignità delle persone detenute.
Si tratta di principi la cui importanza è unanimemente condivisa da tutti i Paesi appartenenti al Consiglio d’Europa, come i rappresentanti delle varie Amministrazioni Penitenziarie presenti alla Conferenza di Edimburgo non hanno mancato di ribadire. Tuttavia, come ha raccontato in quel consesso Mauro Palma, presidente del Comitato europeo per la Prevenzione della Tortura, l’organismo del Consiglio d’Europa deputato proprio al monitoraggio dei sistemi penitenziari degli Stati membri, la situazione verificata dal Comitato “è spesso ben lontana dal confermare l’immagine fornita nelle conferenze e nell’impegno che viene ufficialmente espresso quando si adottano documenti e raccomandazioni”. La distanza tra quanto è scritto sulle carte ufficiali e la realtà quotidiana di molti sistemi penali e penitenziari europei è enorme. Un esempio per tutti: la pena carceraria, lungi dall’essere utilizzata quale quell’extrema ratio da tutti auspicata, è spesso la principale se non la sola sanzione prevista dagli ordinamenti nazionali.
In Italia in particolare, la distanza tra principi e prassi, che scaturisce in più o meno gravi violazioni dei diritti umani delle persone detenute, ha bisogno di venire urgentemente ridotta.
Nella fase preparatoria della Conferenza di Edimburgo, il Consiglio d’Europa ha chiesto agli Stati membri di rispondere a un breve questionario volto a valutare il livello di applicazione nei vari Paesi della Raccomandazione (99) 22 sul sovraffollamento. Le 24 risposte ricevute disegnano un quadro parzialmente disomogeneo, che vede nella maggior parte dei Paesi appartenenti all’Europa centrale e orientale, grazie a cambiamenti legislativi e a prassi giudiziarie, una riduzione del numero complessivo di detenuti e in particolare dei detenuti in attesa di giudizio, mentre vede nella maggior parte dei Paesi appartenenti all’Europa occidentale, sostanzialmente per gli stessi motivi nonché a volte per l’incremento di detenuti stranieri, un aumento tanto del numero dei detenuti quanto della percentuale di essi ancora senza sentenza definitiva.
In Italia, l’aumento della popolazione detenuta tra il 1999 e oggi è stato di notevole rilievo, e la tendenza prosegue tuttora a ritmi serrati. Se alla fine di quell’anno le presenze in carcere sfioravano le 52.000 unità, e all’indomani del voto del provvedimento di indulto del luglio 2006 erano scese da 60.000 a 38.800 circa, i detenuti nelle carceri italiane nell’ottobre 2009 hanno superato la soglia delle 65.000 presenze, a fronte di una capienza regolamentare di 43.074 posti. Assai marcato anche l’incremento proporzionale dei detenuti in custodia cautelare, che al 30 settembre 2009 costituivano il 48,2% del totale, un valore tra i più alti in Europa. Il sovraffollamento ha raggiunto livelli mai visti prima, nonostante l’Amministrazione si sia nascosta a Edimburgo dietro una fantomatica “capienza penitenziaria di necessità” che non sarebbe ancora stata superata. Si tratta tuttavia di un parametro privo di qualsiasi base fattuale, interpretabile come maggiore di quanto si desideri rispetto al parametro oggettivo dei posti letto disponibili. Sono diminuiti in questi anni i detenuti condannati a lunghe pene, mentre sono aumentati coloro che scontano sentenze fino a tre anni di carcere, e potrebbero dunque potenzialmente accedere alle misure alternative previste dall’ordinamento penitenziario.
Come si diceva poco sopra, nel nostro Paese è senz’altro rilevante lo iato tra i principi proclamati e gli impegni solennemente assunti in sede sovranazionale, da un lato, e la prassi ispiratrice delle politiche penali, talvolta recepita perfino in recenti provvedimenti di legge, e le condizioni di vita all’interno delle carceri, dall’altro. Quest’ultimo punto è confermato, oltre che dalle tante denunce di detenuti e visitatori e dall’attività quotidiana da noi svolta con il nostro Osservatorio sulle condizioni di detenzione in Italia, dai Rapporti del Comitato europeo per la Prevenzione della Tortura e dalle sentenze anche molto recenti della Corte Europea dei Diritti Umani.
È nel tentativo di colmare almeno in parte questo iato che nasce il pacchetto di proposte che andiamo a presentare. La Conferenza di Edimburgo, con le valutazioni in quella sede sistematizzate, non lascia più spazio a tentennamenti. È urgente che i principi espressi nella Raccomandazione (99) 22 trovino nel nostro sistema penale e penitenziario delle strade, normative e non, di più cogente applicazione. Strade che percorrano spazi strettamente interni al sistema penitenziario, ma anche esterni a esso, nella consapevolezza, crescente negli ultimi anni e con forza riaffermata a Edimburgo, che le carceri non vivono sottovuoto, e non possono essere considerate isolatamente da altre parti del sistema penale e anche dal più ampio ambiente sociale e politico nel quale sono immerse.
Con questo spirito, consci dell’emergenza attuale legata al sovraffollamento penitenziario ma anche della necessità di affrontarla con uno sguardo a tutto tondo sui diritti umani e sull’utilizzo degli strumenti penali da parte di una società democratica, abbiamo elaborato una serie di risposte a esigenze poste dalla Raccomandazione (99) 22. Risposte che intendono costituire una radicale alternativa, programmatica e culturale, rispetto alla soluzione prospettata dal Governo italiano, che vuole ridurre l’intervento alla sola costruzione di nuove carceri. La nostra critica a questo progetto non nasce tanto dalla sua conclamata irrealizzabilità pratica quanto dal danno persistente che esso apporrebbe al nostro sistema, essendo ormai chiaro da molte esperienze europee come la crescita della capienza penitenziaria, non accompagnata da altro, tenda a risolversi in una parallela crescita della popolazione detenuta. Oltre dunque a non risolvere il problema del sovraffollamento, come lo stesso Consiglio d’Europa ribadisce anche nella Raccomandazione (99) 22, ciò contribuisce a quell’espansione dell’area penale la cui direzione di marcia noi riteniamo di massima importanza invertire.
Abbiamo scelto di suddividere questo pacchetto di proposte in tre categorie, indicate come “a breve termine”, “a medio termine” e “a lungo termine”. Tre sono a loro volta i parametri che fanno ricadere l’una o l’altra proposta in una di queste tre categorie piuttosto che in un’altra: innanzitutto, la prevedibile lunghezza del periodo necessario a realizzare la proposta, tenuto conto tanto della difficoltà tecnica quanto delle difficoltà politiche e di opinione pubblica; in secondo luogo, la lunghezza del periodo necessario affinché gli effetti della proposta, una volta realizzata, si rendano visibili; infine, la sostenibilità nel tempo della proposta realizzata, vale a dire il suo prospettare un cambiamento più o meno di sistema in grado di portare a benefici più o meno durevoli. Tendenzialmente i tre criteri tendono a classificare le proposte in maniera omogenea. Una misura volta a prospettare un cambiamento di sistema non vedrà immediatamente i propri effetti e sarà verosimilmente più difficile da elaborare e da far accettare dalla politica e dalla società. Viceversa, una misura minimale produrrà effetti immediati e sarà facilmente realizzabile. Non è tuttavia necessario che ciò accada, potendosi prospettare classificazioni trasversali rispetto ai criteri formulati. In questi casi, abbiamo classificato le proposte secondo il parametro che ci pareva più rilevante. Va sottolineato in questo contesto come le proposte a medio termine, vista la concreta situazione politica italiana attuale, possano ben essere guardate come proposte a breve termine sotto il parametro della loro praticabilità parlamentare. Riportiamo inoltre talvolta a titolo esemplificativo la citazione tra parentesi quadre dell’articolo della Raccomandazione (99) 22 cui la proposta intende riferirsi.
È evidente che le proposte che riteniamo più risolutive e da perseguire con determinazione sono quelle appartenenti alla terza categoria. Tuttavia, in una situazione di emergenza quale quella attuale, dove il tasso di sovraffollamento dei nostri istituti di pena ha raggiunto livelli “oltre il tollerabile”, come recita il titolo dell’ultimo Rapporto sulle carceri del nostro Osservatorio, riteniamo sia di buon senso adoperarsi anche nelle altre direzioni qui indicate, tamponando l’emergenza con misure che siano sostenibili ad ampio spettro piuttosto che con il piano di edilizia penitenziaria ventilato dal Governo.

Proposte a breve termine


1.    [II.9] Provvedimenti non normativi volti a incrementare l’utilizzo delle misure alternative esistenti:
a. convenzioni tra i Provveditorati Regionali dell’Amministrazione Penitenziaria e i Comuni affinché si regolamenti il lavoro all’interno delle carceri, in qualità di operatori dell’osservazione e del trattamento, di una quota degli assistenti sociali e degli educatori operanti nel territorio e dipendenti dai secondi. In questo modo, con un tale aumento di organico, gli assistenti sociali sarebbero messi in grado di effettuare in misura maggiore quelle indagini socio-famigliari che servono alla chiusura della relazione di sintesi effettuata dal Got (Gruppo Osservazione e Trattamento), la cui mancanza o la cui superficialità sono spesso addotte dalla magistratura di sorveglianza quali motivazioni per la mancata concessione delle misure alternative. Più in generale, va costruita una sinergia fra Amministrazione Penitenziaria ed enti territoriali, in sintonia con quanto previsto dalle “Linee Guida in materia di inclusione sociale a favore delle persone sottoposte a provvedimenti dell’Autorità Giudiziaria”;
b. applicazione della legge Fini-Giovanardi nella parte che prevede l’affidamento terapeutico in prova per i detenuti tossicodipendenti con residuo pena inferiore a sei anni. Considerato che il costo quotidiano di un detenuto è pari circa a 130 euro, che quello di un detenuto in comunità è pari circa a 50 euro e che quello di un affidato al Ser.T. è stimabile in circa 15 euro o meno – per coprire il quale si potrebbe fare riscorso alla Cassa delle ammende –, sarebbe previsto un evidente risparmio. È altresì evidente come anche il costo sociale diminuirebbe, dato il calo del tasso di recidiva che si riscontra tra coloro che hanno scontato parte della pena in misura alternativa. In un anno, circa 10.000 detenuti tossicodipendenti potrebbero lasciare il carcere;
c. rilancio del lavoro all’esterno per i detenuti. Sarebbe auspicabile, tra le altre cose, prevedere la creazione di un ufficio interno al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria interamente dedicato alla ricerca di occasioni di lavoro per i detenuti. L’ufficio le segnalerebbe in prima persona alle singole direzioni, con l’effetto collaterale di rassicurare i direttori nel loro concedere il lavoro esterno previsto dall’art. 21 dell’ordinamento penitenziario. Sebbene non una misura alternativa alla detenzione, esso costituisce senz’altro un alleggerimento delle presenze carcerarie, oltre a essere di più rapida concessione e assegnabile anche agli imputati;
d. effettivo utilizzo del consiglio di disciplina anche in funzione premiale, come previsto dall’ordinamento penitenziario (art.57 legge 26 luglio 1975 n. 354), ossia per suggerire alla magistratura di sorveglianza l’adozione di misure alternative per un detenuto;
e. chiara indicazione da parte del Csm alla magistratura affinché utilizzi pienamente gli strumenti dati dalle misure alternative per i detenuti condannati e dal lavoro all’esterno anche per gli imputati.
2.    Costruzione in tempi brevi di strutture leggere e aperte da destinare all’espiazione di piccole pene detentive in un regime sostanzialmente autogestito. Tali nuove abitazioni, che debbono rispettare i parametri strutturali fissati dal “Regolamento recante norme sull’ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative della libertà” (Dpr 230/00), non debbono andare ad ampliare il patrimonio immobiliare dell’Amministrazione Penitenziaria ma piuttosto a sostituire i posti letto oggi presenti in strutture da dismettere. Una tale misura, a breve termine per quanto riguarda i tempi di realizzazione e la capacità di produrre i suoi benefici effetti, va invece considerata a lungo termine e di sistema se si riflette sul cambiamento culturale cui può contribuire nella percezione diffusa di come debba essere una struttura carceraria.
3.    Velocizzazione dell’ordine di esecuzione di una sentenza una volta emessa a carico di una persona già in custodia cautelare. Oggi trascorrono spesso molti mesi tra quando la sentenza diventa definitiva e il momento in cui si riceve l’ordine di esecuzione, mesi durante i quali il detenuto resta escluso dai benefici penitenziari previsti dalla legge. Moltiplicato per grandi numeri, questo meccanismo produce un serio aggravio di carcerazione.
4.    Realizzazione di periodiche campagne di informazione da parte dell’Amministrazione Penitenziaria sull’istituto del patrocinio a spese dello Stato, spesso sconosciuto soprattutto ai detenuti stranieri.

Proposte a medio termine

1.    Modifiche al Dpr 309/90, che rappresenta oggi, specialmente dopo l’approvazione della legge 49/06 cosiddetta Fini-Giovanardi, la normativa con di gran lunga il maggior impatto sul sistema penale e penitenziario, tanto per le condotte che punisce, quanto per il fenomeno che disciplina, ovvero quello delle droghe. Cifre alla mano, dei circa 92.800 detenuti entrati in carcere nel 2008, 30.528 erano tossicodipendenti (mai così tanti, il 33%, percentuale superiore del 6% rispetto all’anno precedente), e 28.795 (mai così tanti, il 31%) entravano per la violazione del Testo Unico sugli stupefacenti. I due gruppi sono ovviamente in parte sovrapposti (ci sono anche gli spacciatori tossicodipendenti, e non sono pochi) ma è chiaro come l’impatto del Dpr 309/90 sul sistema penitenziario, e sul suo sovraffollamento, sia di assoluta rilevanza. In attesa di un intervento di riforma complessiva della materia, che sposti tra l’altro l’asse dalla penalizzazione alla prevenzione (si pensi che oggi ci sono più tossicodipendenti in carcere che nelle comunità terapeutiche) indichiamo qui alcuni interventi di modifica al Testo Unico mirati al contenimento del sovraffollamento:
a.    maggiore rilevanza alla “lieve entità” nell’ipotesi di produzione, traffico e detenzione di sostanze stupefacenti, circostanza attenuante oggi disciplinata dal comma 5 dell’art. 73 Dpr 309/90. I margini di applicabilità di questa fattispecie attenuata del reato di spaccio sono tuttavia stati notevolmente ristretti dalla disciplina sulla recidiva introdotta dalla legge cosiddetta ex-Cirielli nel 2005 (disciplina che nel punto 3 delle proposte a medio termine affrontiamo nello specifico). Il legislatore del 2005, modificando l’articolo 69 del codice penale, ha introdotto per i recidivi ex art. 99 comma 4 il divieto della prevalenza delle circostanze attenuanti sulle aggravanti. Questa norma, nonostante i principi affermati dalla Corte Costituzionale (Sent.192/07) e ripresi dalla giurisprudenza per cui l’applicazione o meno della recidiva non opera in modo automatico ma è rimessa alla discrezionalità del giudice, ha certamente influito sull’aumento della popolazione penitenziaria impedendo, ove sia stata contestata la recidiva ex art. 69 comma 4 c.p., di applicare la sanzione prevista dal comma 5 dell’art. 73 Dpr 309/90, e imponendo l’applicazione della più severa sanzione prevista dal comma 1. Si propone pertanto l’abrogazione del comma 5 dell’art. 73 Dpr 309/90 e la previsione del fatto di “lieve entità” quale fattispecie autonoma, da inserire in un apposito articolo, o altrimenti si auspica l’abrogazione del comma 4 dell’art. 69 del codice penale;
b.     riduzione sostanziale dei minimi e dei massimi edittali previsti dall’art. 73 Dpr 309/90.  È infatti evidente che il maggior effetto deflattivo può essere ottenuto da un intervento di modifica che riduca le pene previste dal primo comma dell’art. 73. Tra l’altro la pena attualmente prevista risulta eccessivamente severa se messa in relazione con diversi profili della nuova legislazione sulle dipendenze. La fine di ogni distinzione tra droghe pesanti e droghe leggere e i limiti tabellari molto bassi indicati con decreto del ministro della Salute come indizio dell’uso personale, fanno apparire una pena da 6 a 20 anni in alcuni casi del tutto sproporzionata rispetto alla condotta di chi spaccia, ovvero di chi risponde ad una domanda alimentata da comportamenti che suscitano ormai una modesta riprovazione sociale. Alcuni tipi di consumo sembrano infatti entrati nello stile di vita di molti gruppi sociali, dall'uso ricreativo dei giovani all'uso di cocaina in ambienti anche tutt’altro che marginali;
c.    abrogazione del comma 5 art. 94 Dpr 309/90. Per quanto riguarda infatti l’accesso alle misure alternative per i tossicodipendenti, va preso atto della crescente difficoltà di funzionamento del meccanismo predisposto dal legislatore, che spiega il numero esiguo di misure alternative in corso. Basti pensare che se al 1.1.2006, prima del provvedimento di indulto, i tossicodipendenti in affidamento terapeutico erano 3.852, numero comunque esiguo rispetto a quello dei tossicodipendenti in carcere, gli affidamenti terapeutici in corso al 1.1.2009 erano solo 1.219. Un primo intervento che sembra ragionevole è quello della rimozione del limite a due concessioni dell’affidamento ex art. 94, limite che non esiste per l’affidamento ordinario e che sembra irragionevole per l’affidamento terapeutico soprattutto alla luce delle difficoltà e dell’elevato rischio di condotte recidivanti da parte dei tossicodipendenti;
d.    abrogazione del comma 5-bis art. 89 e del comma 6-ter art. 94 Dpr 309/90. La legge Fini-Giovanardi ha previsto l’obbligo per gli operatori del Ser.T di segnalare al magistrato ogni singola violazione del programma della misura, indipendentemente dal complessivo andamento della misura stessa e da ogni valutazione di opportunità rispetto al profilo terapeutico e sanitario, che dovrebbe avere invece rilevanza fondamentale per la misura in esame. Questa disposizione rischia di far crescere considerevolmente il numero delle revoche delle misure alternative alla detenzione ed alla custodia cautelare in carcere.
2.    Modifiche al “Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero”, ovvero al D. Lgs. 286/98. Se nel 1998 sono entrati nelle carceri italiane 58.403 detenuti italiani e 28.731 detenuti stranieri, nel 2008 si registrava l’ingresso di 49.801 detenuti italiani e di 43.099 detenuti stranieri. Un cambiamento radicale dunque, dovuto anche alla maggiore selettività penale e penitenziaria a carico degli stranieri. Quel che si auspica è un ripensamento strutturale delle politiche italiane in tema di migrazioni. In attesa di questo ripensamento, si propongono tuttavia alcuni limitati interventi legislativi in grado di contenere la crescita esponenziale della popolazione detenuta straniera registrata in questi anni, crescita che indubbiamente in parte spiega la complessiva crescita della popolazione detenuta in Italia:
a.    abrogazione del reato contravvenzionale di immigrazione clandestina, inserito nel T.U. sulla immigrazione all’art. 10 bis, e che punisce l’ingresso e la permanenza sul territorio nazionale in violazione delle norme del T.U. Pur non avendo infatti un effetto diretto sul sovraffollamento carcerario, l’introduzione di questo reato rafforza certamente di quel diritto penale del reo che è invece indubbiamente causa della sovra-rappresentazione degli stranieri in carcere, e comporta una radicale marginalizzazione delle persone prive del titolo di soggiorno, rendendo il rapporto dello straniero con le istituzioni estremamente problematico. Una modifica del testo della norma ha previsto l’esonero dell’obbligo dalla esibizione dei documenti di soggiorno per l’accesso a prestazioni sanitarie e scolastiche, ma in ogni altro caso il problema resta, ed è la stessa introduzione della modifica ad evidenziare la delicatezza di detto problema;
b.    abrogazione del reato di mancata ottemperanza all’ordine di espulsione, previsto dall’art. 14 commi 5-ter e 5-quater del T.U., per cui lo straniero che senza giustificato motivo permane illegalmente nel territorio dello Stato, in violazione dell’ordine impartito dal questore, è punito con la reclusione da uno a quattro anni (o da uno a cinque anni se destinatario di un nuovo ordine di espulsione, o da sei mesi ad un anno se l’espulsione è stata disposta perché il permesso di soggiorno è scaduto da più di sessanta giorni e non ne è stato richiesto il rinnovo ovvero se la richiesta del titolo di soggiorno è stata rifiutata, ovvero se lo straniero si è trattenuto nel territorio dello Stato in violazione dell’art. 1, comma 3, della legge 28 maggio 2007, n. 68). L’impatto della norma sul sistema penitenziario è significativo in termini di presenze in carcere per esecuzione di pena, ma è ancora maggiore in termini di ingressi, prevedendo l’art. 14 comma 5-quinquies l’obbligatorietà dell’arresto dell’autore del fatto, solitamente previsto per reati di maggiore gravità. Si consideri che l’unico dato disponibile, relativo all’anno 2005, quantifica in 9.619 gli ingressi in carcere per la sola violazione di questa norma;
b.i in subordine, si auspica almeno l’abrogazione della obbligatorietà dell’arresto di cui all’art. 14 comma 5-quinquies del T.U;
c.    subordinazione alla richiesta dell’interessato della possibilità di espulsione a titolo di sanzione sostitutiva o alternativa alla detenzione, disciplinata rispettivamente dall’art. 16 comma 1 e dall’art. 16 comma 5 del T.U., e innalzamento a tre anni del limite di pena previsto per la sua applicazione;
d.    riduzione da dieci a cinque anni del termine di cui all’art. 16 comma 4 prima del quale allo straniero è revocata la sanzione sostitutiva dell’espulsione in caso di rientro illegale nel territorio dello Stato.
3.    [IV.21] Modifiche alla legge 251/05 cosiddetta ex-Cirielli nella parte riguardante la recidiva. La Legge ex-Cirielli, diventata famosa come “legge salva-Previti”, non ha soltanto ridotto i termini di prescrizione dei reati, ma ha dato nuova forma e contenuto alla figura del “recidivo” e inventato la disciplina del “recidivo reiterato”. Il recidivo è divenuto il principale bersaglio del legislatore del 2005: per lui sono stati introdotti inasprimenti di pena, divieto di applicazione di circostanze attenuanti in alcuni casi, aumento dei termini per la richiesta di permessi premio, irrigidimento per la concessione delle misure alternative, divieto di sospensione pena. La normativa in oggetto ha aggravato la condizione di sovraffollamento in cui versano i nostri penitenziari. Proponiamo le seguenti modifiche normative:
a.    abrogazione comma 4 art. 69 c.p. relativo al concorso di circostanze aggravanti e attenuanti, comma che pone il divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sulle aggravanti per i recidivi;
b.    in relazione all’art. 99 c.p. relativo alla recidiva, si propone di tornare alla disciplina precedente la legge 251/05;
c.    abrogazione comma 4 art. 81 c.p. relativo al concorso formale e al reato continuato;
d.    in relazione all’art. 47-ter legge 354/75 relativo alla detenzione domiciliare (è stata ristretta la disciplina per l’accesso alla detenzione domiciliare per colui che ha compiuto settanta anni), si propone di eliminare il capoverso del comma 01 a partire da “né sia stato mai condannato con l’aggravante di cui all’articolo 99 del codice penale” e il comma 1.1;
e.    abrogazione dell’art. 30-quater della legge 354/75 relativo alla concessione dei permessi premio ai recidivi, che allunga i termini per la richiesta dei permessi premio;
f.    abrogazione dell’art. 50-bis della legge 354/75 relativo alla concessione della semilibertà ai recidivi, che restringe la disciplina per l’accesso alla semilibertà per il recidivo, che può esservi ammesso non più dopo l’espiazione di metà della pena ma dopo l’espiazione dei due terzi di essa;
g.    in relazione all’art. 58-quater della legge 354/75 relativo al divieto di concessione di benefici, si propone di tornare alla precedente disciplina del comma 1 che limitava l’accesso ai benefici per i condannati per uno dei delitti previsti nel comma 1 dell’art. 4-bis riconosciuto colpevole di una condotta punibile a norma dell’art. 385 del codice penale, nonché l’abrogazione del comma 7-bis;
h.    in relazione all’art. 656 c.p.p. relativo all’esecuzione delle pene detentive, e in particolare all’applicazione della sospensione dell’esecuzione della pena per consentire la richiesta di applicazione di misure alternative (cosiddetta legge Simeone-Saraceni), si propone l’abrogazione del comma 9, lett. c, che vieta detta sospensione per i recidivi.
4.    Abrogazione della aggravante di clandestinità, introdotta dalla legge 125/08 (conversione del D.L. 92/08) all’art. 61 comma 11-bis c.p., per cui un illecito è aggravato se il fatto viene commesso da un soggetto che si trovi illegalmente sul territorio nazionale. La norma, odiosa quanto quella sul reato contravvenzionale di immigrazione clandestina e parimenti problematica dal punto della sua costituzionalità, influisce pesantemente sul sistema penitenziario sotto due profili: da un lato, ovviamente, a causa dell’aumento di un terzo della pena previsto dalla aggravante stessa ma, dall’altro, anche a causa della espressa esclusione, in questi casi, della applicabilità della sospensione dell’ordine di esecuzione prevista dalla legge 165/98, cosiddetta Simeone-Saraceni, a seguito della modifica dell’art. 656, comma 9, lettera a) c.p.p. apportata dalla stessa legge 125/08;
4.i in subordine, si auspica almeno l’abrogazione della modifica dell’art. 656, comma 9, lettera a) c.p.p. sopra citata (cfr. prossimo punto 5 delle proposte a medio termine, che comprende in sé questa richiesta).
5.    Abrogazione delle modifiche apportate dalla legge 125/08 (conversione del D.L. 92/08) all’art. 656, comma 9, lettera a) c.p.p., che hanno introdotto l’impossibilità di beneficiare della sospensione dell’ordine di esecuzione prevista dalla legge 165/98, cosiddetta Simeone-Saraceni, per i condannati per i delitti di cui agli art. 423-bis, 624, quando ricorrono due o più circostanze tra quelle indicate dall'art. 625, 624-bis del codice penale, e per i delitti in cui ricorre l’aggravante di cui all’articolo 61, primo comma, numero 11-bis, del medesimo codice.
6.    Introduzione dell’istituto della messa alla prova per adulti imputati per reati per i quali è prevista la pena dell’arresto o della reclusione non superiore nel massimo a quattro anni, così come mutuata dal Dpr 448/88 recante disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni nonché dai sistemi di common law. La messa alla prova, che ha dato ottimi risultati nel processo minorile, può essere applicata con qualche modifica anche al processo penale per adulti, sollevando così il lavoro della magistratura dalle vicende meno meritevoli di attenzione e rispondendo alle finalità di reintegrazione sociale. Nel 2004, sotto un precedente governo di centro-destra, un testo simile a quello da noi auspicato, sebbene non uguale in tutte le sue parti essenziali, vide il parere favorevole della Commissione Giustizia della Camera dei Deputati e approdò all’esame dell’Aula.
7.    Abrogazione dell’art. 341 c.p. che, introdotto con la legge 94/09, contempla nuovamente il reato di oltraggio a pubblico ufficiale già in passato depenalizzato, per il quale vengono frequentemente condannate persone straniere che hanno opposto qualche resistenza alla richiesta di esibizione dei documenti e che ai detenuti viene contestato spesso nei rapporti stilati dagli agenti di polizia penitenziaria con conseguenze negative sulla possibilità di accedere a misure alternative o di ottenere la liberazione anticipata.

Proposte a lungo termine

1.    [I.1, I.3, I.4] Riforma complessiva del codice penale, la quale dia priorità, al contrario di quanto accaduto nei tentativi succedutisi fino a oggi, a rivisitarne la parte speciale. Un cambiamento di sistema dell’approccio normativo ai temi delle tossicodipendenze e della recidiva, che nelle proposte a medio termine vedeva solo un tentativo di miglioramento emendativo, va considerato a lungo termine e inserito in questa riforma del codice. Essa dovrà tenere conto:
a. dell’abbassamento dell’ammontare massimo della pena detentiva, della differenziazione delle sanzioni e delle misure introducendo una gradazione considerevole di sanzioni e misure di comunità alternative a quelle detentive (nella parte generale);
b. dell’espungimento dalla sfera del penale di tutti i comportamenti non lesivi di beni costituzionalmente tutelati, della sostituzione delle sanzioni e misure detentive con sanzioni e misure di comunità in tutti i casi in cui la gravità del reato non le renda evidentemente inadeguate, di un ridimensionamento complessivo dei massimi e dei minimi edittali relativi alla pena della reclusione (nella parte speciale).
2.    Modifica costituzionale volta all’introduzione di una riserva di codice tesa a non vanificare in un tempo più o meno breve il lavoro prospettato al punto precedente.
3.    Modifica del codice di procedura penale volta all’introduzione di liste di attesa penitenziarie, la presenza nelle quali deve costituire per il condannato una modalità formalmente effettiva di espiazione della pena. Si tratta di una misura che va senz’altro considerata come a lungo termine, nel suo netto capovolgere le priorità tra rispetto della dignità della persona ed esigenze di sicurezza. In prima approssimazione, la nostra proposta è inserire nel codice di procedura penale la seguente norma: “Nessuno può essere incarcerato se non gli sono garantiti gli spazi fisici fissati negli standard del Comitato europeo per la prevenzione della tortura. Spetta al Ministero della Giustizia, alla luce dei predetti standard, indicare il numero massimo di posti letto per istituto, superato il quale l’ordine di esecuzione della pena si tramuta in obbligo di permanenza in casa o altro luogo indicato dalla persona. Il Ministero della Giustizia costituirà la lista di attesa per i condannati in via definitiva. La lista segue un ordine cronologico. Nel caso di alcuni reati particolarmente gravi, non verrà rispettato l’ordine cronologico e si potrà procedere direttamente alla esecuzione del provvedimento di condanna. Durante la sospensione del provvedimento di carcerazione la pena scorre regolarmente come se fosse espiata. Il detenuto che non rispetta le prescrizioni relative all’obbligo di domicilio vedrà invece interrompere lo scorrimento della pena”.
4.    [II.7] Forte investimento in un miglioramento della qualità di preparazione del personale penitenziario adibito alla custodia a qualsiasi livello gerarchico, attraverso processi di formazione che non si fermino alla fase iniziale di impiego ma accompagnino l’operatore lungo l’intera sua attività lavorativa, e che abbiano tra i propri obiettivi quello di istruire in merito ai diritti umani e ai meccanismi di prevenzione delle loro violazioni, nonché ai percorsi di reinserimento sociale delle persone detenute. Una cultura delle forze di polizia penitenziaria improntata in questo senso, oltre ad apportare un beneficio all’intero sistema e a dargli un indirizzo più attento al trattamento in generale, eviterebbe inutili conflittualità spesso all’origine di rapporti disciplinari ostativi di benefici penitenziari e modalità alternative di espiazione della pena.
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Numero dei detenuti presenti su 43084

61.481 detenuti
il 7/2/2014


Osservatorio sulla contenzione
a cura di Grazia Serra

  
   

   
    a cura di Francesco Gentiloni

" Il grado di civiltà di un Paese si misura osservando la condizione delle sue carceri"
Voltaire

 


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