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Trattato Italia-Libia


Belli amici!
Trattato Italia – Libia

 

di Ernesto Maria Ruffini

Il prossimo 15 maggio dovrebbe diventare operativo l’accordo con la Libia per il pattugliamento delle coste.
In un solo articolo del trattato, il 19, Italia e Libia hanno disciplinato, come se si trattasse di problematiche tra loro affini, la lotta al terrorismo, la criminalità organizzata, il traffico di stupefacenti e l’immigrazione clandestina.
In particolare, Italia e Libia “promuovono la realizzazione di un sistema di controllo delle frontiere terrestri libiche, da affidare a società italiane in possesso delle necessarie competenze tecnologiche. Il Governo italiano sosterrà il 50 per cento dei costi, mentre per il restante 50 per cento  le due Parti chiederanno all’Unione Europea di farsene carico…”.
Per troppi anni l’Italia ha assistito impotente alla trasformazione delle proprie coste in una discarica abusiva di “rifiuti umani” ad opera di paesi in guerra o dittatoriali, come l’Etiopia, il Sudan, l’Eritrea e la Somalia. Finalmente è stato deciso di porvi rimedio, rivendicando il sacrosanto diritto ad avere spiagge incontaminate, in un paesaggio non più deturpato da “elementi estranei”.
Che fine facciano quei “rifiuti”, dove vengano smaltiti o stoccati non ci interessa, anzi non ci riguarda: sono indubbiamente interrogativi troppo scomodi per meritare una risposta leale.
Questo è quanto abbiamo scelto, nella quasi indifferenza generale. L’Italia ha firmato un trattato di amicizia con la Libia, alla quale abbiamo chiesto amichevolmente di liberarci del problema; quali passi intraprenderà a sua volta la Libia non è materia di indagine: il nostro unico interesse (e la nostra unica condizione) è che l’accordo venga rispettato.
I nostri alleati ci hanno promesso, in cambio di un sostanzioso aiuto economico, che provvederanno a mantenere integre le splendide coste italiane, inviando spazzini del mare che pattuglieranno scrupolosamente il canale libico; ci hanno garantito che i “rifiuti” non usciranno dai confini della Libia, ma verranno ammassati sulle meno fascinose coste libiche e lì trattenuti in attesa di smaltimento o di una diversa destinazione. Del dopo non sappiamo, forse non sapremo (e, di sicuro, non vorremo sapere) più nulla, perché la Libia non ha mai aderito alla Convenzione di Ginevra sullo statuto dei rifugiati del 28 luglio 1951.
Non potrà quindi essere loro applicato l’art. 31 della Convenzione, in basse al quale “Gli Stati Contraenti non prenderanno sanzioni penali, a motivo della loro entrata o del loro soggiorno illegali, contro i rifugiati che giungono direttamente da un territorio in cui la loro vita o la loro libertà erano minacciate […]”, né tanto meno l’art. 33 in base al quale “nessuno Stato Contraente espellerà o respingerà, in qualsiasi modo, un rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a motivo della sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza, della sua appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche”.
Forse una soluzione potrebbe arrivare da un’altra convenzione, quella internazionale per la sicurezza della vita in mare del 1974 (convenzione S.O.L.A.S. - Safety of Life at Sea) che impone l’obbligo di soccorso e di assistenza alle persone in mare senza distinguere a seconda della nazionalità o dello stato giuridico e di portare i naufraghi in un luogo sicuro, che, però, certo non può essere pienamente considerato quel luogo in cui non vi sia certezza del rispetto dei diritti umani, compresi quelli previsti dalla Convenzione di Ginevra.
Come popolo di ex migranti, abbiamo perso un’altra occasione per affrontare il problema dell’immigrazione nel nostro paese.

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il 7/2/2014


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Voltaire

 


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