Home            Chi Siamo             Links             Cerca             Contattaci


Strumenti di navigazione

Chi sono? L'identità tra "libertà da" e "libertà di"

Francesca F. Aversa

In un passo del Fedone, una pietra miliare nella storia del pensiero occidentale, Platone descrive quella che, con un'immagine emblematica, ha chiamato la sua "Seconda Navigazione", una metafora desunta dal linguaggio marinaresco, ossia quella navigazione che si intraprende quando cadono i venti e la nave rimane ferma: in tale circostanza si deve por mano ai remi, e in tal modo, con la forza delle braccia, si esce dalla situazione prodotta dall'incombere della bonaccia.

La "prima navigazione" fatta con le vele al vento corrisponde al tragitto compiuto da Platone sulla scia dei naturalisti, che con il loro metodo lo hanno lasciato in posizione di stallo. La "seconda navigazione", assai più faticosa e impegnativa, è quella condotta con il nuovo metodo dei ragionamenti che portano al trascendimento della sfera del sensibile e alla conquista del soprasensibile. Con ciò il filosofo greco voleva indicare quell'esperienza di conoscenza che porta a cogliere la verità che rende liberi e felici in modo perdurante, all'eudaimonia.

Trasposta in termini di sviluppo individuale la "seconda navigazione" può essere interpretata come un percorso che ognuno può compiere per conseguire un reale benessere, realizzarsi nella pienezza di senso della propria esistenza e ottenere libertà.

Libertà e schiavitù, infatti,  sono condizioni che non dipendono dalla condizione sociale puramente esteriore, la scelta, e dunque la libertà, è qualcosa di indipendente dalla nostra immagine corporea e sociale: sono offerti alla scelta paradigmi di vita di tutti i tipi.

Ma la vita non viene progettata di modo che ogni nostro passo, ogni nostra scelta, ogni nostra azione faccia parte di un disegno unitario.

Nella riflessione filosofica, allora, la ragione viene utilizzata come strumento di confutazione nei confronti della tracotanza della ragione stessa. Il fine è la comprensione di sé e non la conoscenza, è la riflessione sull'esistenza a partire dalla propria, per spingersi sino agli abissi reconditi di se stessi, affrontare i propri demoni per imparare a convivere con essi, denudarsi di fronte a sé per poter incontrare l'altro.

Per strumenti di navigazione possiamo intendere allora gli strumenti concettuali e logici atti ad analizzare la propria ‘filosofia personale', a rintracciarvi contraddizioni e incongruenze?

Perché accecati dall'ignoranza non possiamo che commettere errori nelle  scelte di vita, errori che però non possono che essere ‘involontari' o ‘inconsapevoli' considerato che sono le conseguenze del nostro falso sapere?

Ma come possiamo mai cadere nell'errore, se la verità è manifesta? La risposta è: a causa del nostro colpevole rifiuto di vederla o perché la nostra mente accoglie pregiudizi inculcati in noi dall'educazione e dalla tradizione, o da altre influenze perniciose che la avvelenano. Questi pregiudizi e questi poteri, dunque, sono fonte di ignoranza.

Ogni uomo, indipendentemente dalla propria cultura ed estrazione sociale, ha una personale Weltanschauung (visione del mondo), attraverso la quale interpreta la realtà che lo circonda, reagisce ad essa, la giudica, vi interviene. Di fronte alla complessità che caratterizza le società moderne appare però problematico il conseguimento di visioni della realtà sufficientemente comprensive e coerenti. Sempre più spesso, anzi, si ha a che fare con dubbi e incertezze, causa di insicurezza e stati di crisi.

Se  il disagio ha radici nel modo in cui si interpreta la realtà, se le origini di dubbi e prostrazioni si trovano nella propria Weltanschauung, è opportuno allora chiarificare i complessi rapporti che intercorrono tra interpretazione del mondo e scopi, valori e significati, concetti e aspettative.  l'interpretazione delle visioni del mondo aiuta a scoprire i diversi significati che sono contenuti nei modi di vita, esaminandone criticamente gli aspetti problematici che rappresentano le proprie  difficoltà.  Si tratta di strumenti per analisi concettuali, problematizzazioni, individuazioni di assunti nascosti, descrizioni, distinzioni, indicazioni di rapporti. Tali strumenti possono aiutarci ad esaminare le varie sfaccettature della realtà criticamente e a rivederle.

La personale voce philo-sophica è soltanto una voce. Proviene dall'esperienza di vita di una singola persona. Esprime il modo in cui la realtà umana parla attraverso la mia particolare vita, ma non attraverso altri modi di essere. Senza altre voci, la mia risulterebbe inevitabilmente unilaterale, incompleta. La singola voce non è mai sufficiente ad esprimere la ricchezza della realtà umana.

Lo scopo non è convincere, formulare verità universali, ma fare la propria parte all'interno di un più nutrito coro di voci che risuonino insieme: "Se la pensiamo in maniera diversa, allora abbiamo la possibilità, insieme, di dar voce ad una più ampia parte del reale".  Se si fa uso di argomenti e contro-argomenti, ebbene, è con l'intenzione  di dar corpo alla possibilità che ci si aiuti vicendevolmente a chiarificare e perfezionare le idee che parlano in ciascuno di noi. Ma se lo scopo della filosofia è comprendere - riuscire ad impossessarsi della verità intorno a ciò che è reale, in che modo possiamo accettare due affermazioni filosofiche tra loro divergenti? Con la rinunzia agli stessi ideali di verità e di realtà? Il che non conduce al relativismo estremo o al soggettivismo, dove tutto è relativo, ogni posizione è ugualmente ed inutilmente vera?

Si tratta di un'obiezione decisamente problematica, in quanto costruita su un assunto significativo - a proposito di ciò che significa essere in contatto con la verità. Spesso pensiamo alla verità in termini "descrittivi" o "teoretici": presumibilmente, dire la "verità" significa parlare accuratamente intorno alla realtà, ossia fotografare la realtà per mezzo di descrizioni precise o di teorie ben costruite.

Tuttavia possiamo ricercare la verità in altre maniere - per esempio, prendendo parte alla verità, oppure dando voce alla verità. Da questo punto di vista alternativo, "verità" assume un altro significato, cioè che io incarni un certo modo di essere e apra me stesso alla realtà. "Essere nella verità" è una prassi di esistenza, e non qualcosa che sono in grado di fissare con le parole. La funzione delle parole, quindi, non consiste nel definire, circoscrivere, fissare un'opinione, ma nell'aprire me stesso al di là dell'opinare in compagnia di altri esseri umani.  L'attenzione è posta, in questo caso, sul problema dell'identità impostato a partire dal fatto che ciascuno di noi, vivendo e agendo, come dice Hannah Arendt, mostri concretamente chi è, lasciandosi dietro una storia di vita. Questo desiderio che la vita non sia un susseguirsi di avvenimenti casuali e di scelte casuali, che l'insieme degli accidenti e delle nostre scelte volontarie producano un disegno unitario è ciò che fa parte dell'animo umano nella sua dinamicità.

Io non so mai, in modo definitivo, chi veramente sono. C'è questa tensione continua fra il desiderio di sapere chi sono e le risposte che mi possono essere date, che possono essere, naturalmente, risposte molto diverse.

La domanda fondamentale non è chi sono? Ma la domanda fondamentale è chi sei? Essere interessati a chi è l'altro ossia a riconoscere l'umanità che è nell'altro, nella forma dell'unicità. Lo sguardo dell'altro, tuttavia, può limitare la mia libertà perché oggettiva, mi imbriglia, mi imprigiona in un essere, interiorizzando il giudizio dell'altro, io incrino l'asse della mia identità, l'immagine di me stesso che sostiene il progetto della  mia esistenza.  Lo sguardo dell'altro, come specchio, trasforma in ‘res'. All'identità frantumata, dissolta, restano lo sguardo e lo specchio, come se si avesse bisogno della mediazione di altri per essere quel che si é.  E guardandoci nello specchio che è lo sguardo altrui, costruiamo una maschera, recitiamo una parte, un ruolo sociale.

 

Nell'incontro con il gruppo di detenuti ho voluto dare degli stimoli alla riflessione, costituiti dai frammenti raccolti qui di seguito. Sulla base di questi, si è poi giunti alla narrazione da parte di ciascuno dei presenti di alcuni vissuti personali, a nessuno dei quali va riconosciuta una assolutezza senza appello, e in cui è possibile rinvenire, invece, le tracce della propria idea di ‘libertà', attraverso l'ascolto delle proprie emozioni, che sono, come scrive Borgna, «anche portatrici di conoscenza: di una conoscenza che ci trascina nel cuore di esperienze di vita irraggiungibili dalla conoscenza "razionale"».

Se crediamo in certi orizzonti di "senso", con fatica possiamo cercare di adeguarci pure alle nostre perdite, alle nostre sconfitte, in una prospettiva se si vuole anche "mistica": che allarga istantaneamente i confini della nostra capacità di partecipare il "senso" del vivere e del morire. Occorre dunque ascoltare fino in fondo noi stessi, anche nel dolore e nella sconfitta. Come Etty Hillesum, che nel lager trova comunque, prodigiosamente, la "gioia". Semplicemente in «uno spicchio di cielo».

Share/Save/Bookmark
 

Numero dei detenuti presenti su 43084

61.481 detenuti
il 7/2/2014


Osservatorio sulla contenzione
a cura di Grazia Serra

  
   

   
    a cura di Francesco Gentiloni

" Il grado di civiltà di un Paese si misura osservando la condizione delle sue carceri"
Voltaire

 


Relizzazione tecnica: Emiliano Nieri
Progetto grafico: Enrico Calcagno, Daniele Funaro - AC&P - Aurelio Candido e Partners
Powered by Joomla!