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L’indulto in cifre... poi giudicate
Cominciamo a trarre i primi, provvisori bilanci. E parliamo d'indulto, il tanto vituperato provvedimento di clemenza, che ha sollevato l'indignazione di molti, ha dato corso a polemiche aspre, ha messo in luce interpretazioni opposte, eppur coesistenti nella medesima area politica, di cosa debba essere uno stato di diritto e la stessa concezione della pena. Fatte salve le questioni di principio, tenuti a mente i riflessi che quello psicodramma legislativo ha avuto sull'opinione pubblica, bisognerà cominciare, con buona volontà e senza pregiudizi, ad analizzarne gli effetti concreti. Le carceri sono infine agibili (seppure non ancora vivibili) come mai lo sono state dal lontano 1991 (all'indomani dell'indulto del '90): al 31 agosto 2006, sono 21.411 (di cui 1.044 donne) le persone che hanno riacquistato la libertà grazie all'indulto. Al 30 giugno scorso i detenuti presenti erano 61.246; oggi sono 38.847. Per alcuni questi dati suoneranno confortanti; per altri costituiscono fonte di allarme. Ma questo è il primo effetto che si intendeva produrre, dichiarato e apertamente perseguito: ovvero ripristinare condizioni strutturali di detenzione, compatibili con le nostre leggi e i nostri regolamenti penitenziari; e riaffermare la legalità negli istituti di pena. Lo stato non può recludere 62.000 suoi cittadini (tra cui molti in attesa di giudizio, dunque presunti innocenti) in spazi nominalmente destinati a 40.000. Ci sono altri effetti determinatisi all'indomani di quel provvedimento e per sua conseguenza?
Cominciamo a trarre i primi, provvisori bilanci. E parliamo d'indulto, il tanto vituperato provvedimento di clemenza, che ha sollevato l'indignazione di molti, ha dato corso a polemiche aspre, ha messo in luce interpretazioni opposte, eppur coesistenti nella medesima area politica, di cosa debba essere uno stato di diritto e la stessa concezione della pena. Fatte salve le questioni di principio, tenuti a mente i riflessi che quello psicodramma legislativo ha avuto sull'opinione pubblica, bisognerà cominciare, con buona volontà e senza pregiudizi, ad analizzarne gli effetti concreti. Le carceri sono infine agibili (seppure non ancora vivibili) come mai lo sono state dal lontano 1991 (all'indomani dell'indulto del '90): al 31 agosto 2006, sono 21.411 (di cui 1.044 donne) le persone che hanno riacquistato la libertà grazie all'indulto. Al 30 giugno scorso i detenuti presenti erano 61.246; oggi sono 38.847. Per alcuni questi dati suoneranno confortanti; per altri costituiscono fonte di allarme. Ma questo è il primo effetto che si intendeva produrre, dichiarato e apertamente perseguito: ovvero ripristinare condizioni strutturali di detenzione, compatibili con le nostre leggi e i nostri regolamenti penitenziari; e riaffermare la legalità negli istituti di pena. Lo stato non può recludere 62.000 suoi cittadini (tra cui molti in attesa di giudizio, dunque presunti innocenti) in spazi nominalmente destinati a 40.000. Ci sono altri effetti determinatisi all'indomani di quel provvedimento e per sua conseguenza? Verrebbe da rispondere di no, ché l'indulto è stato approvato solo e solamente per le finalità appena ricordate. È così: e, tuttavia, non ci si vuole sottrarre a ulteriori considerazioni. La prima. Si è scritto con preoccupazione che, di quei 21milla restituiti alla libertà, alla fine di agosto erano tornati in cella «già» 340. Come «già»? Le persone nuovamente arrestate perché accusate di aver commesso un reato dopo la scarcerazione, costituiscono circa l'1,6% di coloro che hanno beneficiato del provvedimento di clemenza. Sono molti? Sono comunque troppi: ma tutti gli studi sulla recidiva ci dicono che negli anni successivi alla liberazione commette nuovi reati il 75% degli scarcerati (e, sia detto per inciso, appena il 15% di coloro che hanno goduto di misure alternative alla detenzione). Dunque, fatta salva la presunzione d’innocenza fino a condanna definitiva, siamo ancora incomparabilmente lontani dai livelli fisiologici di recidiva. Ma andiamo avanti e arriviamo al 18 settembre. A quella data, i reingressi in carcere di chi ha beneficiato dell'indulto hanno raggiunto quota 609. Di questi, 271 sono stranieri; a 118 tra loro è stato contestato esclusivamente il reato di inottemperanza all'obbligo di allontanamento dal territorio dello Stato. Un mero illecito amministrativo: quei «recidivi» non hanno rubato, aggredito alcuno, commesso delitti che possano suscitare allarme sociale. Se sottraiamo a quel totale di 609 i 118 stranieri sprovvisti di permesso (giacché la legge sull'immigrazione andrà riscritta quanto prima), avremmo, tra i beneficiari dell'atto di clemenza, un tasso di recidiva dell'1,8%. Ed ecco il dato più significativo. Dal 1 agosto al 1 settembre 2006 sono entrate in carcere 6.337 persone, fra le quali quelle beneficiarie dell'indulto, mentre nello stesso periodo del 2005 erano state 6.923. Si tratta, in tutta evidenza, di dati provvisori, riferiti al primo periodo di applicazione della legge, destinati prevedibilmente a modificarsi in senso negativo. Tuttavia, le proiezioni che è possibile fare consentono di prevedere che, molto probabilmente, si resterà al di sotto degli ordinari livelli di recidiva, tradizionalmente registrati in assenza di provvedimenti di clemenza. E ciò grazie anche (o soprattutto) a quella norma del provvedimento, che prevede la revoca dell'indulto per chi commetta nuovi reati nei successivi cinque anni. Ci sono poi altri dati, ancora parziali, sull'andamento della criminalità nelle grandi città italiane, dei quali anticipiamo brevemente il senso. Confrontando l'andamento della criminalità nella aree metropolitane, nei mesi di luglio e agosto del 2006, con i dati relativi allo stesso periodo del 2005, si registra un trend sostanzialmente stabile. E una certa tendenza alla riduzione dei reati diffusi, così detti di microcriminalità, per i quali, più di ogni altra fattispecie, si temeva un aumento considerevole a seguito delle scarcerazioni per indulto. Cifre parziali, anche queste - lo ripetiamo - e riferite a un arco temporale limitato. Pure utili per un primo - provvisorio, provvisorissimo - bilancio. Certamente degno della massima considerazione e meritevole di essere affrontato con strategie radicali: ma da non piegare a polemiche piccine. E crudelmente strumentali: per Caino come per Abele. Scrivere a: Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo.
[27/09/06]
Indulto: 21.126 gli scarcerati; i detenuti sono ancora 37.620
[05/09/06] È trascorso circa un mese da quando l’indulto è diventato legge e da allora (sino a ieri) sono usciti dalle carceri italiane perché hanno beneficiato dello sconto di pena esattamente 21 mila 126 detenuti. Un numero impressionante che è andato ben oltre le prime stime che parlavano di 12 - 15 mila persone. Non solo. Attualmente nelle patrie galere sono rinchiuse 37 mila 620 persone, un numero che va al di sotto della capienza regolare (stabilita cioè dai regolamenti penitenziari delle singole strutture), che si assesta a circa 43 mila. I dati li ha forniti ieri il deputato della Rosa nel Pugno Sergio D’Elia, arrivato a Pordenone per una visita al "Castello", il carcere circondariale della città sul Noncello. Il segretario di Presidenza della Camera (la sua elezione scatenò violenti polemiche perché D’Elia, ex esponente di Prima Linea fu condannato a 25 anni di prigione in quanto coinvolto all’assalto del carcere di Firenze e ne scontò più o meno una dozzina) ha fornito anche altri dati, ma soprattutto ha voluto rimarcare la bontà del provvedimento. "I numeri parlano chiaro - ha spiegato - e in particolare quello che più conta è che non si è verificata quell’ondata di violenza e di pericolo sociale che qualche Cassandra aveva previsto. I detenuti usciti con l’indulto che si sono poi macchiati di delitti per i quali è stata necessaria nuovamente la carcerazione, sono stati in tutto una decina. Percentuali infinitesimali". Ma D’Elia non si è fermato qui. È andato avanti con il concreto rischio di stravolgere i delicati equilibri che tengono in piedi la maggioranza di centrosinistra. Già, perché ha dato due spallate non da poco su settori "delicati" che più volte hanno marcato differenze all’interno della compagnie che regge Romano Prodi: la modifica della Bossi - Fini e la depenalizzazione delle droghe leggere. Di più. Il parlamentare della Rosa nel Pugno ha anche fatto presente che sarà necessario "trovare strumenti legislativi per decriminalizzare quei reati comuni come scippi, rapine e furti commessi da tossicodipendenti per procurarsi la droga". "Si deve mettere mano al codice penale e alla giustizia - ha spiegato Sergio D’Elia - perché ci sono 10 milioni di processi dei quali 6 milioni e mezzo penali. I tempi sono lunghissimi e già tante volte l’Europa ha condannato l’Italia per i ritardi". Ma come risolvere la questione? Dopo l’indulto una amnistia. "È l’unica strada da percorrere - ha fatto presente - ma il provvedimento deve essere molto ampio: si dovrà fare la più grande amnistia della storia repubblicana". E la certezza della pena? E la tutela del cittadino onesto che non ha mai commesso reati? "Non è possibile fare altrimenti se vogliamo mettere mano ai problemi della giustizia". Ma se dopo pochi mesi le carceri tornano a riempirsi dovranno scattare altri benefici? "Serve un cambiamento legislativo - è andato avanti - che deve portare per prima cosa all’abrogazione della legge Bossi - Fini che non ha dato le risposte che il centrodestra si aspettava . È necessario ampliare le quote di accesso anche perchè lo chiedono gli imprenditori, specialmente nel Nordest che è lo zoccolo duro del voto per la Casa delle Libertà. Alcune indicazioni su questo fronte le ha date il Ministro dell’Interno, Giuliano Amato. La concessione della cittadinanza italiana agli immigrati dopo cinque anni di residenza può sicuramente aiutare perché i reati commessi dagli stranieri in regola sono pochissimi. È l’irregolarità che si associa ai comportamenti criminosi". Infine le droghe. "Depenalizzare quelle leggere e decriminalizzare i reati dei tossicodipendenti che hanno agito per il bisogno di trovare la dose. Se a questo si aggiunge una applicazione corretta della legge Gozzini - ha concluso il parlamentare - le carceri non saranno più invivibili a causa del sovraffollamento".
Comunicato di Luigi Manconi – Presidente di A Buon Diritto. Associazione per le libertà
E così, come scrivono alcuni quotidiani, “l’indulto è stato affondato”. Quasi si trattasse del gioco della battaglia navale e non della sorte e della stessa vita di centinaia di migliaia di persone: oltre che del livello di civiltà del nostro sistema penale e del nostro sistema democratico. Nelle stesse ore, un giovane uomo, condannato a venti mesi, si toglieva la vita nel carcere cagliaritano di Buoncammino, dove altri due si erano tolti la vita nell’ottobre del 2001. E’ il carcere, va ricordato, definito un “albergo di lusso” dall’attuale Ministro della Giustizia. Il detenuto suicida sarebbe tornato libero tra qualche settimana appena: e, tuttavia, il suo gesto non deve stupire. In carcere ci si ammazza diciannove volte più di quanto ci si ammazza fuori dal carcere: e a togliersi la vita sono, in prevalenza, i detenuti più giovani, incensurati o con una carriera criminale più recente, con imputazioni non particolarmente gravi e con minore dimestichezza con i circuiti carcerari e gli stili di vita e le gerarchie lì dominanti.
Va ricordato, ancora, che l’ultima amnistia risale al 1990. Da allora e per tutti gli anni successivi, il numero dei suicidi è sensibilmente aumentato, contestualmente alla crescita della presenza media dei detenuti: fino ai settanta suicidi nel corso del 2001 e a un numero pressoché pari nel 2002. Di fronte a tutto questo, i comportamenti di una parte significativa della classe politica risultano crudelmente irresponsabili.
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Numero dei detenuti presenti su 43084

61.481 detenuti
il 7/2/2014


Osservatorio sulla contenzione
a cura di Grazia Serra

  
   

   
    a cura di Francesco Gentiloni

" Il grado di civiltà di un Paese si misura osservando la condizione delle sue carceri"
Voltaire

 


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