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LA LETTERA
Presidente Napolitano, perché l'Italia è avara con i profughi?

LUIGI MANCONI
Signor Presidente,  questa mattina ho avuto modo di visitare l'edificio dell'ex ambasciata della Somalia in Italia, sito in via dei Villini numero 9. nel centro di Roma. L'edificio è privo di acqua corrente e di elettricità, gli infissi sono in gran parte divelti, le porte sono scardinate e mancano moltissimi vetri, i muri sono corrosi dall'umidità e la vecchia carta da parati è ammuffita e lacerata, ovunque rifiuti ammassati, i due servizi igienici sono precari e insufficienti, una stanza del palazzo è adibita a cucina e per accendere il fuoco si versa dell'alcool per terra, sul tetto c'è un cassone di amianto in cui scorre dell'acqua che viene utilizzata per bere e lavarsi, i topi scorrazzano numerosi per lo stabile. Qui vivono, alcuni di loro da anni, circa 150 somali.

Sono profughi: rientrano, cioè, in quella categoria solennemente riconosciuta dalla convenzione di Ginevra del 1951, che definisce tali coloro che vengono perseguitati nel proprio paese per motivi di razza, religione, cittadinanza, appartenenza a un determinato gruppo sociale o per le proprie opinioni politiche. L'Italia che ha firmato quella convenzione, ha riconosciuto come meritevoli di protezione umanitaria quei 150 somali e quelle altre centinaia di afghani, eritrei, etiopi, nigeriani e congolesi che hanno trovato riparo precario negli insediamenti improvvisati di Ponte Mammolo, Romanina, via Collatina e del binario 15 della stazione Ostiense. Sono circa 1500 a Roma e circa 9000 in tutta Italia e si trovano a vivere in condizioni che
non è esagerato definire subumane.
Si tratta di persone che godono dello status di rifugiati o della cosiddetta protezione sussidiaria: sono riconosciuti, cioè, come perseguitati nel proprio paese di origine e meritevoli di tutela. Ma nulla, o quasi nulla, viene fatto per garantire loro l'inserimento sociale, la ricerca di occupazione, l'accesso ai servizi e ai diritti di cittadinanza. L'Italia rivela una singolare avarizia nei loro confronti, dal momento che ne ospita meno di un decimo di quanti ne ospita la Germania, e che destina loro una quantità assai esigua di risorse. Definisco singolare tanta avarizia perché essa sembra fondarsi su un processo di rimozione di un fatto storico determinante nella nostra vicenda nazionale. Settanta, ottanta anni fa molti antifascisti italiani ripararono all'estero: si fecero clandestini, fuggiaschi, profughi in terra straniera, talvolta accolti da governi democratici, talaltra perseguitati da polizie ostili. Sandro Pertini e i fratelli Rosselli, Gaetano Salvemini e Bruno Buozzi, Leo Valiani e Giorgio Amendola e migliaia e migliaia di altri anonimi erano - per tratti culturali, politici, sociali e psicologici  -  molto diversi da chi fugge oggi dalla Somalia o dall'Afghanistan, ma per altrettanti tratti molto simili.
Signor Presidente, Lei, più giovane di quegli uomini, appartiene tuttavia a quella stessa storia e sa che in quel migrare fuggire e cercar riparo altrove si formarono donne e uomini che contribuirono a conquistare la libertà per il loro paese e a costruire una società democratica. E sa anche come quella memoria venga oggi malintesa e maltrattata: e forse questo costituisce una delle ragioni che rendono l'Italia così ingrata e così avara verso coloro che oggi sono, a loro volta, perseguitati e fuggiaschi in ragione delle loro idee o della loro identità nazionale o religiosa, etnica o politica. Converrà con me Signor Presidente che una democrazia forte e stabile come quella italiana e un Paese avanzato e progredito come il nostro debba essere in grado di accogliere alcune decine di migliaia di persone e di offrire loro una opportunità di vita dignitosa.
Cordiali saluti e Buon Anno
*L'autore della lettera è presidente dell'associazione "A Buon Diritto"
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il 7/2/2014


Osservatorio sulla contenzione
a cura di Grazia Serra

  
   

   
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Voltaire

 


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