Mele ed io  Non pensi mai al carcere. Non più di tanto. E' oltre l'orizzonte. E' una vecchia fortezza, ormai deserta, nel centro della tua città . E' un insieme di figure geometriche di periferia, parallelepipedi, cemento e ferro, che occupa lo spazio, la distanza, fra te e chi non conosci. Riempie spazio e tempo, poco spazio - tanto tempo, che separano l'uomo dalla propria ignoranza, da quello che non vuole conoscere, che non sa vedere. O, forse, quello spazio, quel tempo, sono l'invisibile ponte che fende la notte e congiunge l'uomo al lato oscuro di se. Il lato sbagliato, pensano in molti. Senza pensarci lo pensi, l'hai pensato anche tu. Sono tanti, sono altri i faticosi orizzonti quotidiani che tenti, il più delle volte invano, di traguardare. Tante, altre prigioni ingabbiano mente, corpo e ambiente in cui si muovono, non puoi evaderle tutte, evadere da tutte, nel breve tempo della tua "libera" esistenza.
Quello che vedi riflesso nelle superfici oculari dei tuoi cari, dei tuoi simili, della tribù a cui appartieni, per affetto o per caso, il tuo lato migliore, l'unico possibile, l'unico ad uniformarti e, talvolta, a distinguerti, pensi. Non c' altro e se c'è. un rifiuto, roba da discarica,inceneritore, che non si ricicla l'ignoto perché l'ignoto non esiste. Che ci tolgano dagli occhi la paura. Altro non chiedi. Altro non sai e non vuoi sapere. Senza neppure uno di questi pensieri, portavo a spasso la mia svogliata curiosita’ fra gli stands del Salone del Libro. Un paio d'anni fa. A Torino. La mia citta’. Così, come si fa per dare un senso alla propria presenza, leggo titoli e quarte di copertina, accompagnando la lettura con la spinta, pi o meno intensa, dell'interesse. Attratto da un titolo, un colore, un'immagine, una forma, cambiando direzione prima d'essere assorbito da un qualsiasi contenuto. La copertina rossa, niente fronzoli. "Mai" vi si legge d'acchito e, strizzando gli occhi, si fa notare anche il sottotitolo: "l'ergastolo nella vita quotidiana". Mai, chissà perché, un avverbio che riesce a catturarmi. Resto un po' così soppesando il libro, l'oggetto libro, come se, così facendo, potessi decidermi sull'opportunita’ d'acquistarlo. L'avverbio, niente altro che una consonante seguita da due vocali, una calamita. Da troppo tempo sono immobile, ingessato nella medesima, nemmeno comoda, postura. Finalmente lo rigiro fra le mani, mi avvicino alla luce e leggo le poche annotazioni riportate sul retro. Non un romanzo, neppure un saggio, piuttosto un diario. La vita quotidiana di un ergastolano, appunto. Ancora detenuto, leggo. Mi stupisco della reale esistenza di un recluso che sconta l'ergastolo. Nella mia immaginazione alimentata da notiziari televisivi, articoli di giornale e bocconi di chiacchiere strappati al senso comune, l' ergastolo una pena virtuale, sicuramente non virtuosa, che si limita a segnalare l'enormità di una colpa. Di fatto, penso, nessuno l'ha mai scontata, nom mai la sconterà se si escludono i suicidi o altre morti, non solo accidentali o violente, che possono, imprevedibilmente, porre termine alla vita di un essere umano privato della libertà Resto ancora un po' li, chiedendomi se sia il caso di tradire la promessa che, entrando al salone, ho fatto a me stesso: " non comprerò nulla" che tanto non ti fanno uno straccio di sconto. Per comprare preferisco l'usato, le bancarelle o, se decido per il nuovo, la libreria che offre il bonus più ghiotto ogni volta che la tua spesa raggiunge e supera una determinata cifra. Mi accorgo che ho cominciato, immediatamente, sul posto, la lettura e non va bene. Gi mi sento osservato. Lo compro. Dodici euro non sono sufficienti a definire un "tradimento". Conosco Annino Mele, leggendo il suo diario di detenuto, da oltre vent' anni, in regime di "alta sicurezza". Scopro che un essere umano non diverso da me. Non un mostro, un alieno, la personificazione del male o chissà che altro. E' la sua modalità di scrittura a colpirmi, identica alla mia di vecchio grafomane che ama giocare con la parola scritta senza pretese, senza finalità , che non siano quelle di addolcire un vuoto, raddrizzare un'ombra o disinfestare (ripulire) uno specchio. Noto che se, per malaugurata sorte, avessi provato quelle emozioni, si potrà dire "emozioni ristrette"(?), le avrei descritte esattamente allo stesso modo, punto per punto, virgole comprese. Penso, dunque scrivo, o scrivo, dunque penso, come un ergastolano! Com' possibile? La vicenda merita d'essere approfondita ed è cos che decido, non senza qualche difficoltà di procurarmi l'indirizzo dell'autore. Casa di reclusione, cos si chiama, una via, un numero civico, di una qualunque città di una città qualunque. E' come tornare, o per la prima volta diventare, adolescente. Trovo un amico di penna. Con lui coltivo un'amicizia di carta. Una fitta corrispondenza in cui ogni singola parola pura sostanza. Non si spreca niente. Questo davvero la prima volta che mi capita. Per la prima volta anche il mio scrivere pare assumere un senso concreto. Un anno trascorso, ancora tempo di Salone del Libro. Questa volta ci vado passando dall'ingresso blindato di un carcere. Entro nella casa di reclusione dove anche il Salone si trasferito per il tempo necessario alla presentazione di tre autori. Sardi. G.M. Bellu col suo " L'uomo che volle essere Peron" - F.Soriga con "Sardinia Blues" e Annino Mele con "La sorgentedalle pietre rosse". Lo vedo per la prima volta e non corrisponde per niente all'immagine che, i lui, la mia fantasia aveva elaborato. Al confronto della profonda serenità , pacatezza, dolcezza e giustezza del suo sguardo, quello (che so?) del Dalai Lama pare appartenere al più trinariciuto degli hooligans. Fa male alla sua, alla mia, alla dignità di ciascun essere umano la consapevolezza di questa inutile barbarie. Qualunque cosa abbia commesso (approfondendo la sua storia, molti dubbi e qualche certezza sorgono nell'attribuzione di quella pena) un uomo redento, intellettualmente onesto, coerente. Virtù umane che gli hanno consentito, con il perno della scrittura su cui poggia il delicato equilibrio della sua esistenza e resistenza, di sopportare senza impazzire, di vivere e di spendersi, nei limiti coercitivi della sua estrema condizione, per ciascuno di noi che abitiamo l'altro lato di quelle mura.
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- Pubblichiamo il racconto di Antonio Argentieri, apparso sul sito www.terramara.it, in cui denuncia un pestaggio subito da alcuni agenti del carcere di Arezzo nel 2004
- Pubblichiamo una serie di lettere inviate da detenuti a Radio carcere, trasmissione settimanale a cura di Riccardo Arena, su Radio Radicale
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