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LO SCIOPERO DELLA PAURA
(Dedicato a Marco Pannella)
Alessandro Bergonzoni

Sarei capace di fare lo sciopero della fame? E della sete? Non lo so, credo di sì, ma potrebbe essere letto come una forma di protagonismo e anche in ritardo: in ritardo in confronto a chi come Pannella lo fa davvero  da un tempo lontano e profondo, in ritardo in confronto agli anni che ho perso a non considerarlo così fondamentale (anche se come molti altri ho cercato di capire o di vedere il carcere). Non basta più. Non serve più aver fatto il possibile, me lo devo ripetere alla noia, che col possibile le morti  dentro, nostre, ma soprattutto loro, continuano aumentano si incrementano.

Sì, è anche retorica certo,retorica di ritorno, che non farei se non esistesse la retorica di andata, quella di chi dice che non è mai il momento per fare una nuova legge, di chi dice che qualche miglioramento c’è stato, che una galera è una galera, che il danno creato non può non avere punizione adeguata al reato, che i numeri stanno cambiando...Ma quello che non cambia è il sistema metrico “decimante”, che vede cadere ancora vite e esseri, che vede radere al suolo  chi di adeguato dovrebbe avere il rispetto che non ha dato, la serenità che ha levato,le possibilità che ha tarpato, l’umanità che non ha capito. Come si fa ad imparare a forza di sanguinare, come si fa a capire dove si è sbagliato, se dove si deve vivere è sbagliato, se il dove si deve vivere è marcito, se dove si sta non è un posto né un luogo ma un truogolo...Non sono tutte così le celle, le prigioni, dicono....E allora quando si comincerà a dire che nessuna deve essere cosi? Eccezioni e regole: quale la differenza, quale l’essenza?
Allora propongo non lo sciopero dell’indifferenza, troppo demagogico, né lo sciopero dell’indecenza.
Propongo lo sciopero della paura. Non si può più alimentarla, foraggiarla, allevarla. La paura di conoscere fino in fondo perché non sopportiamo di alleviare la tortura (che in Italia non c’è come reato ma c’è di fatto) della punizione “sporca”, dell’infliggere oltre ogni umana sembianza ad una persona il male, tanto per fare, tanto per lasciare andare. Chiediamo alla nostre paure di fermarsi, di non andare a incunearsi nell’anfratto della vendetta “giusta”, della pena che non può essere buona, della colpa che deve essere espiata solo con alta sofferenza. Diciamolo alla nostra pavidità che anche se non ci toccherà nessuna galera, ci sta già toccando, che siamo conniventi nel pensiero nella coscienza nell’anima e nel corpo di chi ha un nostro corpo. Facciamo lo sciopero dell’accidia: smettiamola di non fare, di non fare caso (davanti ai troppi “casi”), di non fare niente, di non fare tutto, di non fare tanto. Il fare “finta di niente” è l’unico fare che non produce, che non cambia, che non dà, che non fa pensare; ecco, il pensiero: non è così inutile come si crede, non è così leggero da non trasformare. Sento già chi mi dice –“A parole o nelle intenzioni son capaci tutti...”Siamo sicuri che la parola “intenzione”, la parola “pensiero”, non siano anche concetti portanti e trascendenti, che non siano l’inizio di un nuovo volere, di un contatto-contagio, che arriva fino a chi è vessato e violato, e che non arrivi anche a chi deve sentire i nostri pensieri per cambiare il suo, con una legge, con nuove regole?
Siamo così certi che almeno raccontare  ad un figlio ad un padre ad un amico cosa può cominciare a ripensare sul punire e umiliare, non dia frutti? L’energia di una volontà pensata desiderata e chiesta, non sarebbe un ennesimo incipit, una diversa genesi, per scoprirsi convinti che ciò che accade a chi ha peccato, non va accompagnato con altro peccato? Non sentiamo come questo concetto possa risuonare fino a far vibrare in maniera diversa, la corda di chi vuole impiccare o strangolare diritti inalienabili? Certo che si deve anche andare a vedere, dare, toccare, annusare, abbracciare: ma chi non può, non riesce, non lo senta come alibi per non poter fare il famoso niente: impari a credere che ci sono frequenze importanti (quasi pari al frequentare), che ci sono onde che possono arrivare, partite da ben più dentro, che solo apparentemente sembrano non utili o invisibili.
Facciamo sciopero anche dell’incredibilità, dell’impossibilità, dell’inconcepibilità: a chi pena per esagerazione o menefreghismo, arriverà qualcosa di più che  solo pensiero.


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il 7/2/2014


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Voltaire

 


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