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I Poliziotti che si tolgono il casco e quelli che non chiedono scusa per il G8
di Alessandra Ballerini  Emanuele Tambuscio
Le fotografie dei poliziotti che si tolgono il casco generano emozioni contrastanti ed evocano ricordi ed immagini tra loro differenti.
Salta alla mente qualche scena di soldati in mimetica che cercano di mostrarsi amichevoli e sorridenti davanti ai bambini in territori di guerra, ma, quasi in contemporanea, scorrono davanti agli occhi della memoria le figure di divise in assetto antisommossa, armate fino ai denti, stile "robocop" dentro le quali e' impossibile scorgere la benche' minima umanita'.
A Genova poi e' inevitabile ripensare al G8 del luglio 2001, ricordare i danni che quelle divise e chi le manovrava hanno inferto alla nostra democrazia e le ferite che hanno causato ai giovani corpi dei manifestanti e al loro pacifico idealismo.
Ripensiamo alla macelleria messicana nella quale si è trasformata per decine di dormienti manifestanti la notte del 20 luglio di 12 anni fa alla scuola Diaz, pensiamo ai cortei pacificisti, alle mani dipinte di bianco della dottoressa missionaria mentre tamponava il rosso sangue di ferite da manganelli. Pensiamo alle torture della caserma di Bolzaneto.
O alla lugubre marcia di centinaia uniformi al ritmo sordo e cupo dei tonfa che battono sugli scudi lungo corso Gastaldi, via Tolemaide e la tristemente celebre piazza Alimonda. E ancora ricordiamo i tanti corpi offesi, violati, spezzati o uccisi da armi, mani,abusi o incurie di Stato.
E pensiamo all'impunità di queste divise.
Subito, automaticamente, sale alle labbra una domanda: perche' non se lo sono tolto loro, quelle divise indegne, il casco? Perchè non hanno riposto il manganello, placato la furia, rispettato la legge, anche solo un minuto prima di infliggere colpi e ferite insanabili?
E perchè, ancora ora, le uniformi responsabili di omicidi e torture si rifiutano di chiedere scusa? E i loro colleghi solidarizzano fino alla complicità coi carnefici, sputando veleno sulle vittime e odio contro i loro familiari colpevoli solo di chiedere, e raramente ottenere, giustizia?
Quando ci sarà finalmente il vuoto intorno alle divise che si proteggono sotto l'impunità di caschi e manganelli, o che vigliaccamente, come ladri, travisano i volti o occultano prove dopo aver oltraggiato le persone e le leggi che hanno giurato di rispettare, allora l'immagine di un poliziotto che si toglie il casco davanti a un manifestante potrà essere credibile.
Diversamente sembra solo un segno di resa, di debolezza davanti a dei contestatori rabbiosi e ingestibili che protestano peraltro senza proposte nè ideali espliciti.
E quando poi, finalmente, i condannati per il massacro della Diaz e le torture di Bolzaneto saranno, anzichè stipendiati e protetti, isolati ed espulsi dalla polizia (ma ricordiamoci anche dei medici), e quando una legge di stato introdurrà il reato di tortura e l'obbligo di un codice che renda possibile l'immediata dentificazione dellle forze dell'ordine e quando ancora le divise (e ne conosco molte) che come noi credono nella giustizia plaudiranno a tali leggi, si potrà iniziare a ricostruire un rapporto di rispetto o addirittura fiducia tra i cittadini e le forze dell'ordine.
E così,magari, quando una ragazza che protesta in difesa della Val di Susa bacerà il casco di un poliziotto non verrà accusata di oltraggio.
Perchè oltraggiosi sono gli abusi, l'impunità e la tracotanza di alcuni poteri, non i baci, seppure provocatori.
la Repubblica di Genova
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