Detenuti stranieri e codice fiscale
Antonella Barone Qualche volta succede che il carcere -pur tra problemi e carenze di ogni tipo – sperimenti percorsi sociali virtuosi e persino avanzati. Per esempio è accaduto che a lungo proprio (e soltanto) in carcere gli stranieri privi di permesso di soggiorno avessero, almeno nell’attività lavorativa, diritti e doveri uguali agli italiani. Questo è stato possibile grazie ad un’importante interpretazione contenuta nella circolare n. 27 del 15.03.1993 del Ministero del Lavoro: la sottoposizione a procedimento penale, implica il superamento di ogni dubbio circa l’identità dello straniero, mentre lo spazio di detenzione costituisce di per sé una condizione di” soggiorno obbligatorio” La circolare n. 547671/10 del 12 aprile 1999 del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria aveva fatto espressamente conseguire da tale affermazione la possibilità per lo straniero, pur in mancanza di documenti di identità e di permesso di soggiorno, di richiedere,il codice fiscale tramite il direttore dell'istituto penitenziario o di un suo delegato. Questi specifici interventi interpretativi sono stati resi necessari da alcune contorte logiche carcerarie secondo le quali gli stranieri avrebbero altrimenti avuto delle identità intermittenti, certe per scontare la pena, assenti per lavorare,andare in comunità o esercitare altri diritti. E’ stato così che , per anni, in carcere hanno potuto lavorare anche i detenuti stranieri non in regola, vale a dire praticamente tutti i condannati, considerato che con l’attuale normativa sull’immigrazione, la pena detentiva rende automaticamente clandestini anche i“regolari”. Ma ora anche questo sistema miracolosamente funzionante è minacciato.dalle innovazioni al codice penale e al Testo Unico sull’Immigrazione apportate dalla legge n.94/09 . Infatti l’introduzione del reato di immigrazione clandestina comporta l’impossibilità di assegnare il codice fiscale agli stranieri privi di permesso di soggiorno. Viene così messa a rischio quell’opportunità che ha consentito all’Amministrazione penitenziaria di rispettare alcuni fondamenti della legge 26 luglio 1975, n. 354 ed in particolare il combinato disposto tra l’art. 15 - che colloca il lavoro tra gli elementi del trattamento - e l’art. 1 comma 2 che impone un trattamento“improntato ad assoluta imparzialità, senza discriminazioni in ordine a nazionalità, razza e condizioni economiche e sociali, a opinioni politiche e a credenze religiose”. |
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