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Il comune senso della giustizia

Tobia Zevi

Il 23 maggio 2008 Stefano Lucidi travolse il motorino su cui viaggiavano Alessio Guliani e Flaminia Giordani, guidando il suo furgone ad oltre novanta chilometri orari e passando con il semaforo rosso. L’incrocio, quello tra via Nomentana e viale Regina Margherita, a Roma, è un punto particolarmente pericoloso, in cui il traffico è incessante e non fermarsi al rosso appare semplicemente una pazzia.

Inoltre Stefano Lucidi era senza patente, e mentì poi più volte agli inquirenti: sembra che all’origine del suo comportamento ci fosse il desiderio di spaventare la fidanzata che era con lui.
Come si vede un quadro abbastanza spaventoso, soprattutto alla luce della morte della giovane coppia. Il pirata della strada viene condannato a 10 anni in primo grado per omicidio volontario, ma la pena viene ridotta in appello e poi confermata in Cassazione a 5 anni di reclusione, in virtù della nozione giuridica di “colpa cosciente”. Il Lucidi avrebbe agito nella convinzione di non provocare danni, come dimostrò la sua reazione stupita dopo lo scontro. Un po’ come mettersi a sparare da una finestra convinti di non fare male a nessuno.
Inutile dire che la riduzione della pena e il cambio del capo d’imputazione hanno sollevato grandi proteste da parte dei familiari delle vittime e delle associazioni di vittime della strada.
Il 25 settembre 2005, a Ferrara, Federico Aldrovandi sta rientrando a casa dopo una notte passata con gli amici. É quasi l’alba e il ragazzo appare probabilmente ubriaco: urla, colpisce degli oggetti, sbatte contro i muri. Ha poco più di diciotto anni. Una signora lo vede dalla finestra e, preoccupata, chiama la polizia, che arriva nel giro di pochi minuti prima con una e poi con due volanti. Gli agenti lo fermano, sono quattro e poi sei, lo immobilizzano e ad un certo punto si rendono conto di aver esagerato. Fanno chiamare un’ambulanza dalla centrale che, una volta sopraggiunta, non può fare altro che constatare il decesso.
La prima spiegazione fornita è che il ragazzo ha assunto droghe e alcool, ma le numerosissime ferite, escoriazioni ed ematomi su tutto il corpo di Federico non convincono la madre, che aprendo un blog accelera di fatto il corso delle indagini. Nel corso delle quali emergono un’infinità di tentativi di depistaggio, inquinamento ed insabbiamento (per cui sono stati condannati alla fine tre poliziotti). Dopo un lungo processo i quattro poliziotti protagonisti dei primo intervento - tre uomini e una donna – vengono condannati a tre anni e sei mesi per eccesso colposo nell’omicidio colposo di Federico Aldrovandi, picchiato ingiustamente nonostante fosse già inerte ed immobile, a cui i soccorsi furono prestati con un ritardo giustificato dal fatto che “il ragazzo stava benissimo”.
Le due vicende sono evidentemente diversissime. Ciò che colpisce e che qui interessa è la reazione alle due sentenze: i cinque anni di pena per Lucidi sono stati presi come un affronto ed un’ingiustizia sia per l’entità della pena sia soprattutto per la qualità della sentenza, che non riconosce la volontarietà del pirata nel compiere la sua fatale incoscienza.
La condanna degli agenti di PS per la morte di Federico, invece - che in virtù dell’indulto non si tramuterà in alcun giorno di carcere reale - è stata percepita come un successo della verità e del diritto, in gran parte dovuto alla tenacia della madre di Federico, in grado di abbattere il muro di omertà e falsità tra i colleghi del corpo.
In generale penso che il numero di anni di una sentenza non vada commentato, perché non ha senso parlare di una questione tecnica come la quantificazione della pena per un reato, se tecnici non si è. Non si può analizzare una sentenza con il “buon senso”, quello che ci suggerisce che le patate debbano costare meno delle ciliege perché pesano di più. E ancor di più ritengo che non debba essere chiesto un parere ai parenti delle vittime, ovviamente addolorati e dunque ancora più soggetti ad una valutazione slegata da fatti e parametri, quando non comprensibilmente rabbiosa.
Ma in questa differenza vistosa di opinione puublica temo si possa ravvisare uno scadimento generale del nostro paese: in un sistema che tende sempre più a punire i più deboli e a coprire i forti, tutti se la prendono, giustamente, con Stefano Lucidi, colpevole di un crimine odioso proprio perché a compierlo potrebbe essere ognuno di noi. E invece ci si stupisce addirittura se un gruppo di poliziotti, certamente una minoranza tra quanti fanno benissimo e con coraggio il loro dovere, ammazza per strada un ragazzo di diciotto anni in stato di ebbrezza e viene condannato solo per aver “ecceduto”. Perché in fondo solo chi non ha protezioni deve pagare, ma deve pagare tanto.


 

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