I bambini ci guardano… da dietro le sbarre
Antonella Barone
Le donne in carcere con bambini sono da anni in media sessanta. Sono per la maggior parte rom - italiane e straniere – e, in minor misura, tossicodipendenti. In carcere entrano per reati contro il patrimonio, per spaccio o detenzione di droga.
Reati generalmente soggetti a reiterazione ma che difficilmente si collocano nell’ambito di una temibile offensività sociale. Questa tipologia prevalente tra le madri detenute spiega il perché le stesse non ottengano arresti domiciliari e detenzione domiciliare. Quasi sempre le “ esigenze cautelari di eccezionale rilevanza” e“il concreto pericolo di commissione di nuovi delitti” motivi previsti rispettivamente come ostativi alla concessione degli arresti domiciliari (art. 275c.pp.) e alla detenzione domiciliare (art. 47 quinquies). Certo molto potrebbe la discrezionalità lasciata ai magistrati in merito alla valutazione della loro reale"pericolosità", ma il fatto che nel 2010 solo 33 genitori detenuti ( le misure possono essere concesse anche ai padri in caso di morte o assoluto impedimento della madre) abbiano ottenuto la detenzione domiciliare la dice lunga sulla tendenza restrittiva dominante tra i giudici.
Per porre rimedio a questa situazione alcuni anni fa l’associazione “ A Roma insieme “,attiva nel carcere femminile di Rebibbia, assieme alla Consulta penitenziaria del Comune di Roma, si era resa promotrice della proposta di legge “Perché nessun bambino varchi più la soglia di un carcere”. La proposta voleva affermare soprattutto:
1) la regola che tutte le madri con bambini dovessero trascorrere la custodia cautelare fuori del carcere, con l’eccezione di alcuni casi limitatissimi;
2) l’individuazione di luoghi di custodia o detenzione che non appartenessero a strutture penitenziarie (dunque case famiglia o altre strutture di accoglienza);
3) il rispetto dei diritti di tutti i bambini, indipendentemente dalla loro nazionalità o dalla regolarità della loro permanenza in Italia.
Già durante il sofferto iter in commissione giustizia della scorsa legislatura fu difficile far capire e difendere questi presupposti e il testo base arrivò all'approvazione mutilato della parte contenente gli articoli sulla tutela dei bambini stranieri.
Riproposto con entusiaste adesioni trasversali, il testo risultante dall’unificazione di vari disegni di legge, approvato alla Camera dei deputati il 16 febbraio 2011, sconvolge sistematicamente i presupposti originari fino ad eliminarne la ragione di una nuova norma sulla materia. Infatti:
1) rimangono intatte le“ esigenze cautelari di eccezionale rilevanza”e “il concreto pericolo di commissione di nuovi delitti”, in più viene esplicitato il divieto della concessione della detenzione domiciliare nei confronti delle madri condannate per taluno dei delitti indicati nell’art. 4bis ( senza neanche le distinzioni tra reati del primo e secondo periodo che vengono generalmente previste per la concessione di benefici), così le donne escluse da case di accoglienza e istituti a custodia attenuata continuano ad essere la regola e quelle che hanno i requisiti per accedervi le eccezioni;
2) oltre alle case famiglia protette che potranno essere individuate grazie a convenzioni con gli enti locali, il ddl prevede assegnazioni anche ad Istituti a custodia attenuata per madri (ICAM), carceri a tutti gli effetti - sia pure con accorgimenti architettonici e programmi che ne nascondono agli occhi dei bambini la natura - strutture che pertanto sarebbero potute essere riservati a quelle donne che presentino maggiori esigenze custodiali;
3) del tutto ignorata la pur rilevante presenza di madri e figli stranieri, con la conseguenza che gli stessi sono generalmente destinati all’espulsione al termine della pena.
Anche le altre innovazioni suscitano serie perplessità. L’aumento dell’età limite dei minori da tre a sei anni, prevista dalla modifica del comma 4 dell’art. 275 del c.p.p., rischia di portare addirittura più bambini in carcere, in strutture già sovraffollate, visto che le madri continueranno a non avere i requisiti per le case protette o gli Icam. Inoltre le disposizioni relative alle misure cautelari , in mancanza di posti disponibili presso gli Icam, si applicheranno a decorrere dal 1° gennaio 2014.
Nelle intenzioni originarie l’art 2 del ddl ,“Visite al minore infermo”,doveva infine rappresentare una grande innovazione. Ecco quel che ne resta. In caso di estrema urgenza, anche il direttore dell’istituto deve autorizzare la madre a recarsi dal figlio minore e dalla madre il bambino fino a dieci anni deve essere assistito durante visite mediche specialistiche. Possibile che al magistrato sia tolta tanta discrezionalità ? Neanche per sogno. Infatti per poter ricevere una “visita”della madre detenuta- ben diversa dall’”assistenza” prevista nelle passate proposte- il figlio minorenne dovrà versare in imminente pericolo di vita o in gravi condizioni di salute e potrà essere assistito solo se affetto da una “grave patologia”. Requisiti che continuano a proporre il magistrato come peritus peritorum perché sarà sempre lui a decidere se il bambino è abbastanza grave da meritare l’assistenza materna. Inoltre l’autorizzazione dovrà arrivare almeno 24 ore prim della visita., condizione che rende la norma ancora più restrittiva dell’attuale art.30 c. 2 dell’ord. penitenziario che prevede la possibilità di concedere permessi per eventi familiari di particolare gravità senza definire limiti orari.
E’ possibile che oggi, otto marzo, a dieci anni esatti dalla cd legge Finocchiaro, così piena di buone intenzioni e così povera di effetti, il ddl veda la definitiva approvazione del Senato, tra il plauso di maggioranza e anche di parte dell’opposizione. D’altra parte cosa “funziona” di più in Italia di una maternità recuperata ai sacri valori? Prepariamoci a promesse di effetti che non si realizzeranno mai e a slogan della più usurata retorica. Che stavolta sarà più difficile digerire perché ad essere traditi e sono i bambini che stanno crescendo in carcere e i tanti che continueranno a entrarvi.
8 marzo 2011
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