Le contraddizioni della legge sulle detenute madri
Mi spiego meglio. Gli Icam non dovrebbero essere altro che luoghi di detenzione aperti, a bassa sicurezza, senza sbarre e poliziotti in divisa, custoditi da operatori specializzati nel trattamento di donne e bimbi. Da nessuna parte e in nessuna legge si dice come debba essere architettonicamente una prigione. Spetta a chi governa deciderlo.
Patrizio Gonnella C’è un errore logico nella nuova legge sulle detenute madri approvata in via definitiva dal Senato la scorsa settimana. La custodia negli Icam (istituti a custodia attenuata per madri e figli piccoli) è stata considerata dal legislatore un’alternativa alla detenzione e non una modalità di esecuzione della pena.
D’altronde qualche anno fa è stato istituito l’Icam di Milano senza che ci fosse alcun avallo normativo. Con prontezza e buona volontà fu pensato e realizzato. La gestione fu affidata all’amministrazione penitenziaria. Il principio è lo stesso che governa gli istituti a custodia attenuata introdotti nel nostro sistema penitenziario non con legge ma con semplice circolare amministrativa. La recente legge sulle detenute madri ha invece – non si sa se per insipienza o per cattiva volontà – definito gli Icam una misura alternativa al carcere. Con la nuova legge è rimasto inalterato il sistema previgente; è stata introdotta solo qualche piccola novità: è stata estesa la possibilità di evitare la custodia cautelare in carcere per chi ha figli sotto i sei anni (e non più per chi ha bambini sotto i tre anni), è stata prevista maggiore elasticità nel concedere visite in ospedale alle donne detenute quando a essere ricoverati sono i loro figli piccoli, è stata ridotta la quantità di pena da espiare per potere accedere alla detenzione domiciliare speciale quando la donna ha figli tra i tre e i dieci anni. Il nocciolo della questione “detenute-madri” è rimasto però invariato: chi ha un figlio tra uno e tre anni (non è stato modificato l’articolo 11 dell’ordinamento penitenziario) se lo continuerà a portare in galera salvo che il giudice li invii in un Icam o a casa. L’errore logico del legislatore è stato certamente provocato da una cautela eccessiva posto che la questione riguarda meno di cento tra bimbi e mamme prigioniere. La reclusione in un Icam avrebbe dovuto costituire la ordinaria forma di detenzione di una donna madre, qualunque fosse la pena da scontare o il reato commesso. Invece è stata considerata una via mediana di reclusione tra la detenzione nella propria casa e la galera tradizionale con le sbarre e le divise. |
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