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18 marzo 2010 - Stefano Cucchi
E' la conclusione della Commissione d'inchiesta parlamentare presieduta dal senatore del PD Ignazio Marino sul decesso del giovane avvenuto il 22 ottobre 2009
Cucchi Stefano morì per disidratazione In carcere subì comunque lesioni gravi
Italia Sera 18 marzo 2010
Claudia Rosati
"Stefano Cucchi morto per una grave condizione di disi-dratazione, uno squilibrio elettrolitico che aveva ora¬mai raggiunto un punto di non ritorno".
Dopo il suo arresto per droga, a Cucchi sono state inferte lesioni traumatiche, che non possono però essere considerate la causa diretta della morte.
Questa in sintesi la conclu¬sione dell'indagine istruita dalla commissione parlamentare di inchiesta sull'efficacia e l'efficienza del servizio sanitario nazionale presieduta dal senatore Ignazio Marino sulla morte di Stefano Cucchi il giovane di 22 anni morto il 22 ottobre scorso in circostanze misteriose dopo il suo arresto per droga.
La relazione, una parte della quale è ancora secretata, verrà consegnata alla presidenza del Senato che deciderà se darla in aula. Nella parte della relazione resa pubblica nella giornata di ieri vengono resi noti altri particolari dell'inchiesta. "Stefano Cucchi ha sofferto una sindrome traumatica e metabolica (riferito al perio¬do del suo ricovero all'ospe¬dale Pertini, ndr) ma non c'è un rapporto diretto tra le due sindromi. I medici non si erano resi conto, probabil¬mente, della condizione di non ritorno in cui Stefano Cucchi ormài versava". . Così si spiega l'assenza di monitoraggio da parte dei medici sul paziente, senza capire che c'era il rischio di morte".
La commissione ha anche stabilito l'ora della morte di Stefano Cucchi il ragazzo sarebbe deceduto alle 3 di notte e non alle 6 e 15 come stabilito nelle precedenti inchieste. I tentativi dei medici di rianimare il giova¬ne furono quindi inutili dato il rigor mortis del cadavere 3 ore dopo il decesso. Tutto il materiale della Commissione occorre ora che venga non solo inviato alla procura, ma anche reso accessibile a tutti nell'ottica della trasparenza e dell'ac¬cesso agli atti delle istituzioni". Per il momento, comunque, il documento della Commissione sarà immediatamente trasmesso sia alla
Procura di Roma che al presidente di Palazzo Madama, Renato Schifani. "La Commissione d'Inchiesta del Senato ha approvato all'una¬nimità le conclusioni sul caso Cucchi Stefano Cucchi non è morto per una 'tragica fatalità. Sono emerse colpe e responsabilità precise. Spero che la magistratura, nel con¬cludere la sua indagine, possa fare in modo che questa morte ingiusta non rimanga impunita".



«Stefano morto di fame e di sete e il primario non lo ha mai visitato»

NESSUNO HA SEGNALATO LIVIDI E FRATTURE
il Messaggero 18 marzo 2010
«Quattro ore per trasferirlo dal carcere all'ospedale»
VALENTINA ERRANTE
Sette punti oscuri sui ricoveri e sulla morte di Stefano Cucchi Sette «criticità», come le definisce la commissione del Senato presieduta da Ignazio Marino. Un elenco allegato alla relazione che riguarda il "caso" del geometra romano, arrestato la sera del 15 ottobre per droga e morto misteriosamente sei giorni dopo.
Partono dai vistosi segni sul corpo del detenuto, i senatori, fratture e ecchimosi riscontrate in sede di autopsia, che nessuno aveva pensato di segnalare alla magistratura. Cucchi non è morto per il pestaggio. A ucciderlo è stata la disidratazione: un blocco renale dovuto alla mancata assun¬zione di acqua e cibo. Nessuno se n'era accorto, nessuno ha avvertito il paziente o
chiamato i familiari. E salta fuori che, a fronte di una situazione drammatica, arrivata a «un punto di non ritorno», il primario della struttu¬ra protetta del Pertini, Aldo Fierro, indagato dai pm romani, non ha neppure visitato il paziente o deciso di monitorarlo.
Per la commissione non c'è dubbio: «Nell'opinione dei consulenti tecnici, le ecchimosi palpebrali sono probabilmente prodotte da una succussione (scuotimento ndr) diretta delle due orbite palpebrali. Analogamente le lesioni alla colonna vertebrale sembrano potersi . associare a un trauma recente. Sempre a una lesione recente è collegata la frattura al livello sacro-coccige».
Quando Cucchi arriva a Regina Coeli è in pessime condizioni: «Il medico del carcere in via d'urgenza il detenuto al pronto soccorso dell'ospedale Fatebenefratelli. Ma l'accesso all'ospedale avviene   dopo   quattro ore». E la relazione fa riferimento anche all'organizzazione: «l'ortopedico del Fatebenefratelli viene consultato telefonicamente, non essen-

do di guardia: ciò non sembra consono a un nosocomio, sede Dea di primo livello». Anche la cartella clinica non si trova: «Nel primo ricovero al Fatebenefratelli manca la cartella clinica di accompagnamento dal carcere e mai viene successivamente citata come letta da alcun testimone». Ma i senatori ritengono anomala anche la procedura che ha portato al ricovero di Cucchi al Pertini. Per metterla in atto viene contattato un dirigente del ministero non in servizio che firma il nullaosta. Modalità che gli stessi dirigenti, in commissione, hanno definito «senza precedenti». «Alla luce dell'anomala procedura - si legge ancora nella relazione - è lecito domandarsi se tale percorso sia stato indotto da motivi sanitari o da esigenze organizzative dell'amministrazione».
E ancora sui medici. Si legge nella relazione: «Il primario responsabile della struttura protetta non ha mai visitato Cucchi In considerazione dell'aggravarsi del quadro clinico del paziente, il 21 ottobre è stato riferito alla commissione essere stata preparata da un medico una lettera di segnalazione all'autorità giudiziaria, mai inviata a causa della morte. Ciò nonostante non viene predisposto un monitoraggio contìnuo delle sue condizioni». E la commissione chiosa: «E' da notare la mancanza di qualsiasi supporto descritto per la rianimazione. L'equipe non viene chiama¬ta. Sarebbe arrivata in 5 o 6 minuti».
Sul registro degli indagati sono finiti tre agenti penitenziari accusati di omicidio preterintenzionale, per avere picchiato Cucchi nei sotterranei di piazzale Clodio. e sei medici del Pertini, ai quali viene contestato l'omicidio colposo. I pm attendono ancora la relazione dei medici legali

Ma anche tre agenti penitenziari: omicidio preterintenzionale che faccia chiarezza sulle fratture e sulle cause della morte del detenuto. Intanto il sindacato autonomo di polizia penitenziaria definisce«confortanti» le conclusioni della Commissione. «Che Cucchi sia morto per l'eccessiva perdita di peso è una notizia importante», afferma il segretario Donato Capece.






Il garante dei detenuti: «Ci sono molti punti aperti»

il Messaggero 18 marzo 2010
«Cosa è successo al Tribunale e al Fatebenefratelli»?
Angiolo Marroni: «Non è solo un caso di malasanità Bisogna capire perché il ragazzo è stato trattenuto in caserma»
Responsabilità colpose, che comunque restano da dimostrare, c'è da verificare se ci sia stata realmente una responsabilità dolosa. Resta anche da capire perché Stefano è stato portato lì e perché non è stata valutata in modo adeguato la disidratazione. Detto questo, manca comunque un pezzo. Insisto: manca cosa è accaduto   prima venisse.

«E' un passo avanti, ma non è sufficiente, non si può ridurre Quello che è successo a Stefano Cucchi a un caso di malasanità». Angiolo Marroni, garante per i diritti dei detenuti, commenta la relazione della Commissione parlamen¬tare d'inchiesta.
Secondo la relazione Cucchi non sareb¬be stato ucciso bensì lasciato morire. Non è una differenza da poco. Lei è d'accordo?
«Guardi, credo la soluzione trovata sia una scelta dettata dalla volontà di arriva¬re ad un voto unanime. E' il frutto di un accordo politico. Ma lascia molti punti aperti. Ed è da lì che bisogna ripartire. Non è chiaro perché questo giovane sia stato portato e trattenuto in caserma né perché alle 5 del mattino sia stato chiama¬to il 11 8. Cosa è accaduto in Tribunale e al Fatebenefratelli? E quel ricovero deciso velocemente il sabato sera in modo cosi improprio? Insomma, restano da chiarire molte cose e in particolare tutto quello che è successo prima del ricovero al Pertini»;
Qualcuno dice: dopo tutto quel polvero¬ne hanno voluto a tutti i costi trovare un colpevole e hanno gettato la croce addosso ai medici.
C.Mar.


18-03-2010 Libero
Giovanardi aveva ragione Stefano l'ha ucciso la droga
MARIA GIOVANNAMAGLIE
È una brutta storia, come sono brutte e tristi tutte le storie di giovani che vivono male, fatti e corrotti di droghe, che muoiono in modo violento e sporco, se la sono andata a cercare la morte e alla fine ce l'hanno fatta a trovarla lungo la strada, che si sono procurati parecchio del danno da soli, ma non tutto, anzi qualcuno li ha aiutati al suicidio, perché si è distratto e si è fatto indifferente, perché una pratica di lavoro abbrutito lo ha reso mostro almeno una volta, almeno in una circostanza. Senza buttarla in sociologia, dio ci scampi, diciamo le cose brutte come stanno.
Stefano Cucchi è morto di disidratazione e non di botte, anche se le botte le ha prese, di non accettare certe terapie ha scelto cocciutamente e stupidamente, probabilmente non calcolando le conseguenze nella sua mente malata, anche se le terapie qualcuno avrebbe dovuto imporgliele. Le responsabilità individuali di medici e infermieri vanno accertate, i responsabili puniti, anche se non funziona che contro le cure coatte ci battiamo i giorni dispari, per poi pretenderle nei giorni pari. Se gli agenti di custodia lo hanno pestato, non importa che siano stati provocati, e non ci importa nemmeno che lavorino troppo e male, devono pagare. Stefano Cucchi è morto, e la vita di una persona vale sempre molto.
Ma Stefano Cucchi non è un eroe e non è neanche solo una vittima del sistema, come fino alla nausea abbiamo sentito dichiarare e sproloquiare a inchieste ancora aperte. Certe frasi sono giustificate se le pronunciano i genitori o i fratelli, perché il dolore le consente, ma anche a loro va chiesta l'onestà del senso della realtà, va chiesto di risparmiarci nuove crociate , petizioni e manifestazioni, dei quali il nostro Paese è già piagato. Stefano Cucchi era uno spacciatore abituale, non solo un consumatore, e non aveva solo qualche grammo addosso, di cocaina in una casa nella quale andava a dormire ne è stata trovata un chilo. Una dichiarazione sicuramente imprudente di Carlo Giovarmardi subito dopo la morte del ragazzo suscitò proteste furiose e perfino minacce di morte al malcapitato. Non mi preme di difenderlo, ma se rileggete oggi quelle frasi capirete che non c'era proprio niente di scandaloso. «Poveretto, è morto soprattutto perché pesava 42 chili La droga ha devastato la sua vita, era anoressico, tossicodipendente, poi il fatto che in cinque giorni sia peggiorato... certo bisogna vedere come i medici l'hanno curato. Ma sono migliaia le persone che si riducono in situazioni, drammatiche per la droga, diventano larve, diventano zombie: è la droga che li riduce così».
Aggiungo a titolo di cronaca che certe cose accadono anche perché c'è un'emergenza seria delle carceri, che sono poche, ma che un pregiudizio buonista negli anni passati ha bloccato la costruzione di nuovi edifici. Oggi il governo ha approvato finalmente un piano del Guardasigilli Alfano e ha dichiarato lo stato di emergenza fino al 31 dicembre 2010 nei penitenziari italiani. I numeri parlano chiaro: 64.990 detenuti a fronte di una capienza di 44.066 posti. Il piano prevede interventi di edilizia penitenziaria che porteranno alla realizzazione di nuovi carceri e nuove sezioni degli istituti di pena. L'obiettivo è aumentare di ottantamila posti la capienza. C'è anche una manifestazione di fiducia nel riscatto delle persone, ci convinca o no, perché sono previsti provvedimenti di detenzione domiciliare nei confronti dei detenuti con condanne per reati non gravi che devono espiare ancora un anno. Infine il governo ha annunciato l'assunzione di duemila agenti. Quelli in servizio non sono solo dei picchiatori. Un esempio: se è allarmante il numero dei suicidi in carcere, sappiate che è sei volte più grande quello dei detenuti che ogni anno tentano di togliersi la vita e vengono salvati dagli agenti di Polizia penitenziaria.


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I periti della commissione parlamentare
La verità su Cucchi: non è morto per le botte
II pestaggio degli agenti c'è stato, ma non letale. Sotto accusa i medici
18-03-2010
Fabiana Ferri

Libero
Stefano Cucchi è morto per «una grave condizione di disidratazione». Lo dicono i consulenti tecnici della commissione parlamentare d'inchiesta sull'efficacia e l'efficienza del servizio sanitario nazionale, che ieri hanno reso nota la relazione finale delle loro indagini. Una disidratazione, spiegano, provocata, in parte, dal detenuto stesso che, in segno di protesta - visto che gli erano stati negati contatti con la famiglia - ha cominciato a rifiutare cure, cibo e liquidi. Fino a perdere 10 chili in 6 giorni e ad accusare «quei gravi squilibri idroelettrolitici responsabili poi della sua morte».
Dietro al discusso decesso del 31 enne romano - arrestato per spaccio il 16 ottobre, chiuso in carcere, e poi trasferito al Sandro Pertini, dove è morto sei giorni dopo - non ci sarebbe, dunque, nessun pestaggio. Aucciderlo sarebbe stato piuttosto il comportamento irresponsabile dei medici, che non si erano forse accorti delle gravi condizioni in cui versava.

«Nessuno di loro», scrivono i consulenti in quelle poche pagine, che a giorni verranno inviate anche alla procura di Roma, «nella giornata antecedente al decesso, si è probabilmente reso conto che la situazione del paziente aveva ormai raggiunto un punto di non ritorno». Un atteggiamento, dicono, che dà quindi una risposta al perché non si siano preoccupati di effettuare un «monitoraggio costante delle sue condizioni». Che erano comunque già gravi quando Stefano è arrivato in ospedale.
I tecnici non hanno infatti negato la presenza di lesioni e fratture - provocate quasi certamente da un pestaggio, che secondo le indagini della procura sarebbe avvenuto sotto le celle di sicurezza del tribunale di Roma - ma hanno escluso, «senza incertezza, che il decesso si debba alle conseguenze del trauma subito».
Un decesso, si legge ancora nella relazione, avvenuto tre ore prima di quanto si fosse ritenuto finora : Stefano sarebbe morto alle 3 di notte, e non alle 6.15. Un errore che Ignazio Marino, presidente della com¬missione, esclude sia stato commesso col chiaro intento di falsificare le cartelle, ma che evidenzia comunque un'altra anomalia, ovvero che «il medico che ha praticato le manovre rianimatorie, notando una rigidità dei muscoli del collo e dell'articolazione temporo-mandibolare, sapeva che il paziente era morto da tempo».
Dopo 5 mesi di indagini, Ignazio Marino e i suoi sembrano quindi puntare il dito contro i medici, assolvendo in parte i tre agenti della penitenziaria indagati per omicidio preterintenzionale. Una clemenza che non concede invece la sorella di Stefano, Ilaria Cucchi, che per quanto soddisfatta dell'esito della commissione d'inchiesta, resta convinta che il fratello sia rimasto vittima di una vera e propria aggressione. E anzi spera che la Procura riconosca la preterintenzionalità delle guardie carcerarie. Perché, dice, «le fratture ci sono, e sono recenti e compatibili con un pestaggio, che lo ha debilitato. Perché diciamola tutta, Stefano al Pertini non ci è andato per farsi una passeggiata. Che la smettano, quindi, di inventare scuse e di parlare di una caduta accidentale».

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il 7/2/2014


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a cura di Grazia Serra

  
   

   
    a cura di Francesco Gentiloni

" Il grado di civiltà di un Paese si misura osservando la condizione delle sue carceri"
Voltaire

 


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